Risalendo rua Marechal Francisco de Moura, all’ingresso della favela di Santa Marta, la prima novità è la fila di stracci bianchi appesi alle finestre delle palazzine basse. Su tutti lo stesso messaggio scarabocchiato con vernice nera: “Vendo, Alugo”. In alcuni casi al posto dello straccio c’è il cartello plastificato di un’agenzia immobiliare, magari con un agente in giacca e cravatta per la strada ad aspettare un possibile cliente. Da sempre vittime della guerra tra trafficanti e polizia per il controllo del territorio, negli ultimi 3 anni alcune favelas di Rio de Janeiro sono state “pacificate”. Santa Marta è stata la prima, e rappresenta una sorta di vetrina per l’iniziativa delle Unidade de policia pacificadora (Upp), unità speciali volute dall’amministrazione carioca che hanno già occupato quasi tutte le favelas della Zona Sud della città, quella dove risiede la classe alta carioca e si affollano i turisti.
Torno nella comunità 5 anni dopo il mio primo soggiorno, quando a controllare il territorio era il Comando Vermelho, la più antica fazione criminale carioca. La rivoluzione è palese. Niente più ragazzini armati fino ai denti a far da sentinelle o ad amministrare la boca dello spaccio di droga. Il traffico continua, ma non è più sfacciato e militarizzato come un tempo. Ai tavolini dei bar si possono vedere invece giovani armati di lap-top che approfittano della connessione wi-fi gratuita di cui è stata dotata la comunità. Lo Stato ha provveduto inoltre ad alcuni interventi strutturali, come il teleferico che collega l’ingresso della favela con i piani più alti della comunità. Il sorriso sereno delle donne in fila alla stazione d’ingresso, non più costrette a farsi la scarpinata fino alle loro case cariche come muli, descrive bene la nuova atmosfera che si respira nella favela.
Quando la mia vecchia padrona di casa mi comunica che il prezzo della stanza che occupavo è quadruplicato, comincio a intravedere l’altra faccia della medaglia. “I tempi in cui ti guardavamo come un marziano sono finiti. Oggi sono tanti gli stranieri che vogliono soggiornare qui per qualche tempo. Santa Marta è diventata ormai una favela chic”.
Quasi tutti gli edifici alla base della collina sono in fase di ristrutturazione, e per le strade è un via vai continuo di camioncini carichi di cemento e operai indaffarati. Accanto a praça Cantao è stato impiantato uno sportello bancomat, e sull’insegna di molte botteghe è apparso il logo della Visa.
Secondo i dati diffusi a dicembre 2011 dall’Instituto brasileiro de geografia e estatisticas (Ibge), su 190milioni di brasiliani ben 12milioni vivono in una favela, il 6% della popolazione. Ma la percentuale s’impenna se si considerano le città più importanti. Nel caso di Rio de Janeiro i favelados sono il 22% dei cittadini carioca, oltre 1,2 milioni di persone. Fatta eccezione per le favelas ubicate nelle aree nobili della città, lo Stato continua a considerare queste realtà abitative “fuori legge”, tentando d’imporvi i doveri del cittadino senza garantire alcun diritto, o sgomberandole con la forza e abbattendole. Un approccio globale, che non riguarda solo le favelas brasiliane, ma è comune agli slum asiatici, alle township e alle bidonvilles africane, alle baraccopoli europee. Nel rapporto “Urban Survivors. Humanitarian Challenges of a Rising Slum Population”, Medici senza frontiere denuncia che 800milioni di persone, oltre il 10% della popolazione del Pianeta, vivono abbandonate in condizioni igieniche allarmanti, prive di ogni tipo d’assistenza sanitaria. Una crisi umanitaria che va riconosciuta e compresa, soprattutto quando si considerano i possibili scenari futuri: se nel 2009 la popolazione delle aree urbane ha superato quella delle campagne, gran parte dei nuovi “cittadini” globali è infatti costretta a farsi spazio nella miseria di una baraccopoli. Una tendenza che secondo le previsioni dell’agenzia Habitat della Nazioni Unite porterà a 3miliardi di “baraccati” entro il 2050.
Finora la risposta globale al fenomeno non è stata portare ospedali e scuole dove si concentrano i diseredati globali, ma radere al suolo le baracche per costruirvi sopra immobili residenziali, parchi industriali, campi da golf o altri impianti sportivi. A Manila, la capitale delle Filippine, dove oltre la metà degli 11milioni d’abitanti vive in uno slum, gli attivisti locali si sono appellati alla Corte suprema per chiedere la fine delle demolizioni che hanno già causato lo sgombro di oltre 16mila famiglie solo negli ultimi 18 mesi. Nella città indiana di Mumbai, il “Dharavi Redevelopment Project” prevede di fare tabula rasa di uno degli slum più popolati di tutta l’Asia – un milione d’abitanti stretti in 175 ettari, con una latrina ogni 1.500 persone – e di estendervi il nuovo centro finanziario che si erge a 2 passi dalla distesa di baracche. L’architetto Mukesh Mehta, autore del progetto, promette cha tale modello di riqualificazione sarà riproducibile a livello globale e permetterà di arrivare “entro il 2025 a un mondo libero dalle baraccopoli”.
Per capire che cosa questo significhi, faccio visita a Itamar Silva, attivista nato e cresciuto nella favela di Santa Marta, a Rio, e punto di riferimento per gli abitanti della comunità. “Da quando la Upp ha occupato il territorio, gli speculatori hanno messo gli occhi sulla favela. Il valore degli immobili è cresciuto, soprattutto il prezzo degli affitti. Inoltre, se prima quasi nessuno pagava elettricità e acqua, oggi gli allacci clandestini non sono più tollerati. Il costo della vita ha subito una forte impennata. Dopo aver resistito per decenni alla violenza armata, gli abitanti sono ora costretti ad arrendersi di fronte alle leggi del mercato, che stanno causando la loro progressiva ‘remoçao branca’”.
Nelle 20 favelas occupate finora dalle Upp, la compagnia Light può contare già su 32mila nuovi clienti. A Santa Marta sono quasi 2mila, e il tasso di allacci pirata è passato dal 90% al 1%, il più basso dell’intera città. Se nei primi mesi successivi alla “pacificazione” la Light aveva praticato tariffe agevolate, oggi gli abitanti devono pagare il prezzo pieno della bolletta. E sul muro della panetteria il proprietario ha affisso un cartello che annuncia il rincaro del pane, a causa del costo insostenibile della fornitura elettrica. Allo stesso modo tante altre botteghe sono state costrette ad aumentare i prezzi. Una dinamica in atto in tutte le altre favelas “pacificate”, e che sta costringendo la fascia più debole degli abitanti a emigrare verso la Zona Nord, a ingrossare le file dei diseredati della “Cidade maravilhosa”, lontano dallo sguardo dei turisti. Lì, nonostante le promesse iniziali, non è ancora previsto alcun intervento di “pacificazione”, e gli abitanti continuano a essere abbandonati al giogo dei trafficanti o delle milicias (vedi Ae 113).
Che ne sarà dei favelados della Zona Sud? Nella memoria degli abitanti più anziani c’è la politica remozionista degli anni 60, che causò lo sfollamento di 80mila persone, arrivando ad appiccare il fuoco nelle favelas di Praia do Pinto e Pasmado per scacciarne gli abitanti. Ma soprattutto la frammentazione, la discontinuità e l’arresto improvviso di ogni intervento pubblico nei decenni successivi. Quella delle Upp non è la prima iniziativa di policiamento comunitario nelle favelas, ma nessuna è durata a lungo. L’ultima, il Grupo de policiamento em areas especiais (Gpae), promossa durante l’amministrazione di Anthony Garotinho è collassata con la fine del suo mandato. Le Upp sopravvivranno ai grandi eventi che attendono Rio nei prossimi 4 anni -Mondiali di calcio 2014 e Olimpiadi 2016- oppure lo Stato sparirà anche stavolta abbandonando ancora i cittadini a milicias e trafficanti?
Gli integranti delle Upp vengono formati e pagati meglio dei loro colleghi della polizia carioca. Solo per la formazione di 60mila agenti speciali il Municipio di Rio ha speso 15milioni di reais (circa 6milioni di euro). Ogni integrante delle Upp riceve inoltre una gratifica mensile di 500 reais (200 euro). Un onere che le casse dell’amministrazione carioca potrebbero non permettersi a lungo. Così i favelados che la speculazione non ha ancora cacciato dalle proprie case, guardano alla mano tesa dello Stato con diffidenza, consapevoli che quando in passato hanno provato ad afferrarla è sempre scivolata via.