Sulle prossime commemorazioni di Chico Mendes, martire della difesa del popolo e della foresta amazzonica ucciso a revolverate il 22 dicembre di 30 anni fa, aleggia una presenza inquietante: Jair Bolsonaro, neo-eletto presidente brasiliano, che durante la campagna elettorale ha promesso più volte di “liberare il Brasile dall’ambientalismo che lo soffoca” e “aprire le riserve amazzoniche a chi è in grado di sfruttare le immense ricchezze che nascondono”.
Le idee dell’ex-generale Bolsonaro non sono nuove. Sono gli stessi argomenti con cui il generale Emilio Garrastazu Médici, dittatore del Brasile dal 1968 al 1974, per “occupare una terra senza uomini” cominciò ad aprire in Amazzonia “le strade del progresso”. La deforestazione, che ha già cancellato il 20% della copertura originaria, si è diffusa proprio attraverso le arterie autostradali costruite sotto il regime militare che ha governato il Brasile fino al 1985. Lo stesso regime contro cui ha lottato il movimento dei seringueiros, i raccoglitori della gomma naturale guidati da Chico Mendes, riuscendo ad arrestare la deforestazione e a promuovere le “riserve estrattiviste” (Resex), il modello di gestione ambientale che affida la difesa dell’ecosistema alle popolazioni di raccoglitori tradizionali. Un modello che rappresenta il più grande lascito di Chico. Oggi in Brasile le Resex sono 94 (41 quelle del bioma amazzonico) e coprono oltre 15milioni e mezzo di ettari. A queste vanno aggiunte 36 “riserve di sviluppo sostenibile” per altri 10milioni di ettari e 381 “insediamenti estrattivisti” per 11milioni di ettari. Un totale di 36milioni di ettari che sommate ai 47milioni di ettari delle riserve indigene, fanno oltre 80milioni di ettari sottratti alla devastazione.
Tra i tanti annunci fatti in campagna elettorale, Bolsonaro ha promesso di cancellare il ministero dell’Ambiente e affidarne le competenze a quello dell’Agricoltura (l’attuale ministro dell’Agricoltura è Blair Maggi, uno dei più grandi produttori di soia brasiliani), eliminare le principali agenzie governative responsabili della salvaguardia ambientale e soprattutto “tirare fuori gli indigeni dagli zoo in cui sono stati confinati dagli ambientalisti, integrarli nella nostra società e aprire le loro riserve allo sfruttamento commerciale”. Prima ancora che arrivino i suoi prossimi provvedimenti, le minacce di Bolsonaro hanno già prodotto i primi risultati. Secondo i dati diffusi dall’Instituto Nacional de Pesquisas Espaciais (Inpe), durante la campagna elettorale, tra agosto e ottobre, il tasso di deforestazione è cresciuto di quasi il 50%, cancellando per sempre altri 170mila ettari di foresta. Anche l’invasione e l’occupazione delle terre indigene ed estrattiviste sta crescendo con nuovo impeto. Una dinamica cui non è estranea neppure la riserva intitolata a Chico Mendes (ResexCM), la più grande del Brasile, vetrina del modello estrattivista, dove su un milione di ettari vivono quasi 2mila famiglie.
“I fazendeiros (come vengono chiamati in Brasile i grandi latifondisti, ndr) sono tornati all’attacco, come avvenne negli anni precedenti l’assassinio di Chico. Con la complicità del potere giudiziario, sono già riusciti a far espellere molte famiglie di seringuieros e ad appropriarsi delle loro terre”, mi racconta Gumercindo Rodrigues, compagno di lotta di Chico Mendes, scrittore e oggi avvocato di molti seringueiros dell’area di Xapuri, già teatro delle lotte degli anni Ottanta.
Una dinamica confermata anche da Sergio Carvalho, regista di Empate, un film che uscirà a dicembre nelle sale brasiliane, il cui titolo evoca la principale forma di lotta dei seringueiros, che per opporsi alla deforestazione circondavano gli alberi con i propri corpi. “Volevo fare un film sulla memoria – mi dice Sergio – sulla resistenza non-violenta con cui il movimento guidato da Chico è stato in grado di arrestare la deforestazione. Mi sono imbattuto invece in uno scenario di conflitto molto attuale. Mentre giravamo all’interno della ResexCM abbiamo assistito a diversi episodi di violenza. La casa di un seringueiro di nome Francisco, che aveva ricevuto un decreto di espulsione a favore di un fazendeiro di Xapuri, è stata prima bruciata e poi, dopo che la comunità si era riunita per ricostruirla, abbattuta con un trattore. Sta tornando l’epoca del fuoco e della violenza, dell’ingiustizia legittimata dai tribunali dello Stato”.
Ma i problemi della ResexCM non vengono soltanto da fuori. Al suo interno è ormai diffusa la “cultura del bue”, come la chiama il professor Richard Wallace, antropologo che da anni si occupa della riserva. Ogni famiglia di seringueiros può deforestare fino al 10% della terra che ha in usufrutto per impiantarvi agricoltura e allevamento su piccola scala. Per anni le vacche hanno incarnato i risparmi familiari: quando il raccolto della borracha (la gomma naturale), delle castanhas (le noci brasiliane) e degli altri prodotti estrattivisti va bene, si aggiunge un animale alla piccola mandria; se invece c’è bisogno di affrontare spese impreviste se ne vende una. “Col tempo però – spiega Wallace – l’allevamento si è trasformato per molte famiglie nella fonte principale di reddito. Tanti hanno stretto accordi con i fazendeiros e in cambio di una retta mensile fanno pascolare le loro vacche sui terreni della riserva. Secondo i dati più recenti, nella ResexCM l’allevamento rappresenta in media una percentuale del reddito (35%) equivalente a quella che deriva dalla somma di tutte le attività estrattiviste (cui si aggiungono l’agricoltura per il 15% e i sussidi statali per il 14%)”. Oggi gran parte dei giovani nati nei seringais della riserva, in alcuni casi discendenti dei compagni più stretti di Chico Mendes, indossano i cappelli a tesa larga, le cinte borchiate e gli stivaloni tipici dei fazendeiros. Sono attratti dalla ricchezza veloce che promette l’allevamento di vacche.
Con la complicità di un monitoraggio e di una fiscalizzazione tutt’altro che rigorosi da parte dello Stato, l’avanzamento della “cultura del bue” e lo sviluppo dello sfruttamento del legno pregiato avviato dal 2000, hanno fatto schizzare verso l’alto la deforestazione. Oggi la Resex CM è tra le aree di conservazione ambientale più deforestate del Brasile: ha già perso oltre 90mila ettari, pari al 9,4% della copertura originaria. Un fenomeno che si concentra soprattutto nella parte meridionale della riserva, quella più prossima alle cittadine di Xapuri e Brasileia, lungo l’autostrada BR-316, dove molte famiglie hanno superato il limite del 10% imposto dalle regole della riserva. Un insulto alla memoria di Chico. “L’unico modo per invertire questa pericolosa tendenza – mi dice Assis, il nuovo presidente del sindacato dei lavoratori rurali di Xapuri, ruolo a lungo ricoperto da Chico Mendes – è lavorare su alternative produttive e sull’educazione delle nuove generazioni. Invece che far pascolare le vacche, sulle aree in cui è possibile deforestare andrebbero piantate castanheras, seringueiras e alberi da frutto, in modo da avere pian piano una foresta più produttiva. Nelle scuole poi vanno spiegati gli effetti che il pascolo ha sulla foresta: se nel breve periodo promette denaro facile, nel giro di qualche anno appena porta con sé una devastazione irreparabile”.
Se non mancano contraddizioni e problemi, l’estrattivismo in Acre può comunque vantare buoni risultati. Da qui proviene oltre un terzo della produzione di castanhas di tutto il Brasile. Cooperacre è forse l’esempio di maggior successo dell’estrattivismo di tutta l’Amazzonia: riunisce 27 cooperative che rappresentano oltre 2mila famiglie estrattiviste. “Speriamo che i risultati raggiunti – mi dice il direttore Manoel José – bastino a difendere un modello economico che distribuisce ricchezza invece di concentrarla come fanno la soia e i bovini”.
“Con Bolsonaro al potere – mi spiega Mary Allegretti, tra le più strette compagne di Chico Mendes e presidente dell’Instituto de Estudos Amazônicos, l’ong creata nel 1986 e che più di ogni altra ha sostenuto la creazione delle riserve estrattiviste – c’è il rischio che nelle riserve il sistema basato sull’usufrutto delle popolazioni tradizionali venga sostituito con un regime di proprietà privata. Con il pretesto di concedere agli abitanti il diritto di utilizzare la propria terra come preferiscono, si favorirà l’appropriazione da parte delle imprese minerarie e agroindustriali, pronte ad acquistare e sfruttare le terre finora protette delle riserve. La prospettiva di doverci confrontare con il prossimo governo è triste, ma non ci spaventa. Il nostro movimento è nato all’epoca del regime militare e continua a essere vivo e forte. Nuovi leader daranno seguito alla nostra lotta. Siamo pronti a batterci ancora per il sogno di Chico”