Le prime parole ufficiali di Sergio Cabral, nuovo Governatore di Rio, sono state un grido d’aiuto. Per tirare fuori la testa dal bagno di sangue in cui la città è annegata negli ultimi giorni, la nuova amministrazione ha richiesto l’invio immediato delle forze federali. Circa 7mila agenti di sicurezza nazionale, il cui arrivo era previsto solo tra qualche mese in occasione dei Giochi Panamericani (si svolgeranno a Rio dal 13 al 29 luglio), andranno a integrare le forze dell’ordine dello Stato di Rio. Anche l’esercito è stato messo in allerta.
Il 28 dicembre la colonnina della violenza ha sfondato il termometro. I quartieri di mezza città, comprese zone centrali come quella di Botafogo, sono stati messi a ferro e fuoco: decine di macchine della polizia prese a colpi di granata e raffiche di mitra, omnibus dati alle fiamme (passeggeri inclusi..), tanti poveracci finiti contro il lampo d’una bala perdida. È la reazione dei maggiori clan di trafficanti di fronte all’avanzata delle milicias.
Con il pretesto di spazzar via il narcotraffico, eliminando gli incubi di chi abita nelle zone più marginali di Rio de Janeiro, negli ultimi anni si sono infatti costituite delle organizzazioni di paramilitari. Classificate dai simpatizzanti come Autodefesas Comunitárias, queste milizie si sono inserite nella lotta per il controllo del territorio. Ad oggi, le favelas sotto la loro “protezione” sono circa un centinaio. Un fenomeno in crescita esponenziale che, negli ultimi 20 mesi, ha fatto registrare la media impressionante di una nuova occupazione ogni 12 giorni.
Le milizie sono composte in gran parte da poliziotti civili e militari, pompieri, agenti penitenziari, che in alcuni casi abitano nelle stesse comunità di cui assumono il controllo. Nelle loro operazioni d’occupazione possono contare sull’appoggio informale delle unità di Polizia cui è affidata la sorveglianza dei territori in questione. “Al momento dell’invasione, gli agenti di turno fanno finta di niente – racconta il colonnello Mário Sérgio de Brito Duarte – per poi riprendere servizio dopo che le milizie si sono installate, aiutando così a ostacolare il ritorno dei narcotrafficanti”. Una volta ottenuto il controllo del territorio, i paramilitari bandiscono l’uso e la vendita di droga. E i loro metodi di repressione, al di sopra della legge, risultano molto efficaci: un minore pescato con della marijuana, a esempio, riceve immediatamente percosse e minacce di morte. Una garanzia che difficilmente sgarrerà una seconda volta. Lo sradicamento del consumo e del traffico di droga è l’esca con cui le milizie guadagnano la simpatia iniziale di una parte degli abitanti della favela “liberata”. In realtà il loro fine ultimo è esclusivamente il lucro e molto presto la comunità si rende conto di aver cambiato appena le spoglie dei propri carnefici.
I paramilitari cominciano riscuotendo una tassa di protezione per tenere lontani i trafficanti, di solito 15R$ al mese per ciascun abitante. Molto rapidamente però passano a imporre il “pizzo” su un ampia gamma di attività commerciali che hanno vita all’interno della favela. Il prezzo di vendita dei bottiglioni del gas viene maggiorato di 5R$, mentre chi usufruisce di un allaccio clandestino alla rete elettrica è costretto a pagare 10R$. La tassazione è imposta anche sull’installazione irregolare della Tv per abbonamento (conosciuta come “Tv a gato”, la rete clandestina a Rio coinvolge 600mila persone, il doppio degli abbonati regolari secondo le stime dell’Agenzia nazionale delle Telecomunicazioni) e chi vuole garantirsi il servizio deve essere pronto a sborsare in media 30R$ al mese. I gestori di moto-taxi e piccoli furgoncini, mezzi di trasporti informali molto diffusi nelle favelas, devono corrispondere un pedaggio alle milizie. Anche le attività commerciali regolari sono tenute a pagare il pizzo. Ai paramilitari poi deve essere corrisposta una percentuale sul prezzo di vendita o d’affitto degli immobili. Un giro d’affari notevole. A esempio, secondo una rilevazione operata dal Gabinetto militare della Prefettura, le milizie che occupano la favela di Rio das Pedras (poco più di 12mila abitanti) arrivano a guadagnare un milione di R$ al mese soltanto con 3 “servizi”: sicurezza, gas e Tv via cavo.
Agli abitanti che si rifiutano di pagare viene tagliato il rifornimento di gas e luce. Se la situazione non cambia, le milizie passano a minacce e torture, fino ad arrivare in alcuni casi ad assassini mirati. A Parque Boa Esperança, una delle comunità più carenti della Zona Ovest, non riuscendo a spremere a sufficienza i 400 abitanti, le milizie hanno scelto di abbandonare il territorio che era stato invaso all’inizio dello scorso mese. Il 25 novembre, poche ore dopo la loro ritirata, i trafficanti espulsi hanno ripreso il controllo della favela, uccidendo il leader della comunità reo di aver appoggiato l’occupazione dei paramilitari.
Dove sono maggiormente radicate, le milizie arrivano a controllare programmi statali d’assistenza come Bolsa-Familia (sussidio) e Vale-Gas (fornitura gratuita di bombole di gas). In alcuni casi viene imposto anche il coprifuoco: ad esclusione del sabato gli abitanti sono tenuti a non uscire di casa dopo le 22. Ai più giovani viene inoltre impedito di frequentare i bailes organizzati nelle altre favelas. In questo modo le dinamiche di controllo e sfruttamento imposte dai paramilitari risultano ancora più severe di quelle adottate dai trafficanti. La frustrazione degli abitanti è poi esasperata dalla presenza di membri effettivi delle forze di Polizia militare e civile tra le fila delle milizie: persone che ricevono un salario dallo Stato perché dovrebbero garantire il rispetto della legge.
Le invasioni dei paramilitari finora si erano concentrate nelle periferie della megalopoli, in particolare nella Zona Ovest e a Jacarepaguá, dove delle 48 favelas disseminate nell’area soltanto la famosa Cidade de Deus non è ancora stata occupata dalle milizie. Erano in molti però a indicarla come prossimo obiettivo di conquista. Proprio per scoraggiare l’avanzata verso quest’ultimo territorio e verso quello della Mangueira, alcuni tra i principali clan di narcos si sono riuniti, un evento senza precedenti nella cronaca degli ultimi anni, e hanno deciso di dare un segnale forte. Il bilancio parla di oltre 20 morti e decine di feriti, in gran parte civili. Come sempre.
La città più violenta del mondo – Vittime delle guerre per il controllo delle favelas e del traffico di droga sono soprattutto le nuove generazioni. In Brasile, secondo i dati diffusi dal Núcleo de Estudos da Violencia (Nev) dell’Università di San Paolo, nel 87,6% dei casi di omicidio la vittima è un giovane di età compresa tra 15 e 19 anni. Teatro degli assassini sono essenzialmente le comunità più marginali del Paese. Un altro studio, del sociologo Waiselfisz, dimostra che la causa principale di morte dei giovani tra 15 e 24 anni non sono più epidemie o malattie infettive ma “cause esterne”: omicidi per il 39,7% e incidenti stradali per il 17,1% (sommati rappresentano quasi il 60% delle cause di decesso). Nella stessa fascia di età, il tasso di mortalità per arma da fuoco è di 43,1 per ogni 100mila giovani. Nell’ultima decade, il numero di omicidi è cresciuto del 5% annuo e il tasso più alto di crescita si è registrato proprio nella fascia di età compresa tra 14 e 16 anni. Con un tasso di 27 omicidi per ogni 100mila abitanti, il Brasile divide il podio nella classifica mondiale con Venezuela, Russia e Colombia. Considerando solo le morti tra i giovani il tasso è di 51,7 per ogni 100mila, più basso soltanto di quello di Colombia e Venezuela. Secondo i dati dello Instituto brasileiro de geografia e estatísticas (Ibge), Rio de Janeiro è la città dove vengono uccisi più giovani tra 15 e 24 anni: nel 2005 il tasso era di 227,4 morti per omicidio per ogni 100mila giovani, con una crescita del 1,1% rispetto al 2004 (quando erano 225). Complessivamente nell’ultime decade il tasso di omicidi di giovani fino a 19 anni è cresciuto del 306%. Una crescita che non da segni di arrestarsi e che è in grado di offuscare i miglioramenti ottenuti nel campo della mortalità infantile, che dal 2000 si è ridotta del 14,3% (nel 2005 il tasso è stato di 25,8 decessi per ogni 100mila bambini nati vivi contro i 30,1 del 2000 – dati Ibge).