“Benvenuti a Vila Autodromo, comunità pacifica e ordinata dal 1967”. Il cartello è posto all’ingresso di un viale di terra battuta che si stende accanto all’immenso cantiere a cielo aperto del nuovo Parco Olimpico, sede principale dei prossimi Giochi di Rio 2016. Inalva Brito Mendes, un’insegnante in pensione che ho conosciuto a una riunione del Comité popular da Copa e Olimpiadas – l’organizzazione che dal 2009 documenta le violazioni dei diritti umani e gli abusi condotti in nome di tali eventi – mi ha dato appuntamento qui, “accanto all’albero di Natale che l’associazione degli abitanti ha fatto con le bottiglie di plastica riciclate”. La mia ospite si è trasferita a Vila Autodromo vent’anni fa, “in cerca di un posto tranquillo e immerso nella natura dove passare la vecchiaia”. A quell’epoca, non c’era traccia dei condomini di lusso che oggi circondano la laguna di Jacarepagua e le sponde del lago erano abitate ancora quasi soltanto da pescatori.
Per raggiungere la sede dell’associazione degli abitanti, percorriamo il viale principale della comunità che circonda il vecchio autodromo di Rio de Janeiro (dismesso per far spazio al Parco Olimpico, fino al 1989 ha ospitato il Gran Premio del Brasile di Formula1 e fino al 2004 quello di MotoGp). Passiamo accanto a un parchetto, dove un gruppo di donne gioca a carte attorno a un tavolino di pietra, mentre figli e nipotini si divertono con scivoli e altalene. Più avanti, una coppia di adolescenti passeggia a cavallo e due giovani mamme sorridenti allattano sedute di fronte a un piccolo emporio. Sulla riva della laguna, un vecchio fuma seduto vicino alla pila di tegole con cui sta rimettendo a posto il suo tetto, mentre due pescatori spingono in acqua la loro canoa carica di reti. Vila Autodromo non ha i tratti tipici delle favelas. Le case, quasi tutte in muratura, sorgono su una superficie piana e ben organizzata. Ovunque spuntano gli alberi da frutta piantati negli ultimi 40 anni. Niente fogne a cielo aperto o cumuli d’immondizia. Per le strade non c’è traccia di gente armata o traffici sospetti. L’atmosfera è così rilassata che ci si dimentica di essere a Rio, la città più violenta del mondo.
All’interno della sede dell’associazione degli abitanti, troviamo ad attenderci una squadra di architetti, urbanisti e sociologi delle Università federali Fluminense (Uff) e di Rio de Janeiro (Ufrj). Circondati da mappe, lavagne e montagne di appunti, da mesi lavorano come volontari al “Piano Popolare di Vila Autodromo”, che prevede l’urbanizzazione integrata della comunità nelle opere di rinnovamento previste in vista delle prossime Olimpiadi. Tra l’altro, si occupano di raccogliere i dati degli abitanti più antichi, quei pescatori che occuparono l’area al principio e non risultano nei documenti del catasto carioca. È il caso di Fernando, cui facciamo visita con Inalva e un volontario della Ufrj. La sua casa è tra le tante marcate con la sigla della Secretaria Municipal de Habitaçao (Smh) in vista dell’imminente demolizione. Così dobbiamo spiegargli per bene chi siamo e cosa siamo venuti a fare prima che si convinca a farci entrare. Bottiglia di cachaça in una mano e sigaretta nell’altra, comincia a rispondere alle nostre domande. La baracca dove vive è stata costruita da suo padre alla fine degli anni Sessanta. Per vent’anni l’amministrazione carioca si è disinteressata della sua e delle altre famiglie di pescatori insediatesi attorno alla laguna. Poi, mentre Rio de Janeiro si preparava a ospitare il celebre UN Heart Summit del 1992, “abbiamo cominciato a ricevere le prime visite degli ufficiali del Comune, che ci intimavano di abbandonare l’area. Dicevano che la nostra presenza era dannosa per l’ambiente, che vivendo qui mettevamo a rischio l’ecosistema. Conosco questa laguna da quando ero un bambino. Non sono certo le nostre baracche o le reti che tiriamo dalle canoe a far danno. Chi ha inquinato le acque e danneggiato l’ambiente sono gli stessi costruttori che da vent’anni provano a cacciarci per aggiungere qualche palazzo in più sulle sponde della laguna”.
La maggior parte degli abitanti di Vila Autodromo ha comprato la casa in cui vive e vanta un regolare titolo di proprietà. Ma anche chi, come Fernando, ha occupato il suolo su cui ha costruito può vantare il diritto di possesso delle propria abitazione, riconosciuto nel 1994 dal governatore Leonel Brizola e poi rinnovato per 99 anni dal successore Marcelo Allencar. Nel 2005 inoltre, quando la comunità contava ormai oltre 4mila persone ben radicate, l’intera area venne dichiarata per legge “di speciale interesse sociale” e “destinata in via esclusiva ad abitazioni popolari”. I titoli però non sono mai stati sufficienti ad allontanare la voracità degli speculatori immobiliari, cresciuta a dismisura mentre la laguna di Jacarepagua si trasformava in un’area residenziale per la classe alta carioca. Così gli abitanti hanno dovuto far fronte comune davanti a ripetuti tentativi di rimozione. La loro strenua resistenza, fondata su straordinarie capacità organizzative e un uso massiccio e sapiente dei social media, ha conquistato le cronache dei più importanti giornali internazionali, come New York Times e The Guardian, trasformando Vila Autodromo nella comunità simbolo della resistenza agli sgomberi imposti dall’amministrazione carioca in vista dei Mondiali di calcio 2014 e dei prossimi Giochi Olimpici.
Sono passati tre anni dalla mia ultima visita a Inalva e compagni. Nel 2013 il “Piano Popolare” si è aggiudicato lo Urban Age Award, un premio internazionale di urbanismo sponsorizzato da Deutsche Bank e London School of Economics. Ma oggi, a dieci mesi dall’inizio dei Giochi, Vila Autodromo somiglia ai villaggi bombardati nella Striscia di Gaza o in Siria. Assediate da ruspe e macerie, sono rimaste appena 47 delle circa 600 famiglie che vivevano nella comunità. “Neppure il riconoscimento internazionale è stato sufficiente a cambiare le carte in tavola. Quando siamo stati finalmente ricevuti in Comune per illustrare le nostre proposte – racconta Regina Bienenstein, professoressa di architettura all’Università Federale Fluminense e tra gli autori del “piano popolare” – il sindaco Paes ci ha liquidati in malo modo. Lo stesso giorno ha ordinato la rimozione di altre 40 famiglie. Finora l’operazione di sgombero di Vila Autodromo è costata alle casse del Comune oltre 115milioni di reais (circa 30 milioni di euro). Una cifra molto superiore ai 14milioni di reais previsti dal nostro piano alternativo”.
Le ruspe non si sono fermate neppure davanti alle sentenze dei tribunali federali. La Corte dei Conti brasiliana, a esempio, ha contestato il contratto siglato tra il Comitato organizzatore di Rio 2016 e il consorzio di imprese Carvalho Osken e Odebrecht – di recente il presidente Marcelo Odebrecht, terza generazione della più grande impresa di costruzioni brasiliana, è stato arrestato per un maxi giro di tangenti scoperto dall’inchiesta “Operaçao Lava Jato” – per la costruzione della “Vila dos Atletas”, che in parte sorgerà sul terreno da cui viene sgomberata la comunità di Vila Autodromo. Secondo il tribunale federale, le costruzioni previste non differiscono dai condomini che già circondano la laguna di Jacarepagua e non presentano alcuni dei requisiti tipici dei “villaggi olimpici”, costruiti con l’intento di rivitalizzare o creare nuovi poli di sviluppo. In realtà, dietro la facciata dell’opera pro Olimpiadi si nasconde un’enorme speculazione immobiliare: una volta terminati i Giochi, la “Vila dos Atletas” – 31 palazzi residenziali per un totale di oltre 3600 appartamenti di lusso costruiti su una superficie di 800mila metri quadrati – si trasformerà in un condominio privato chiamato “Ilha Pura”, che contribuirà a valorizzare tutta l’area di Jacarepagua. Ad approfittarne sarà la potentissima lobby dei costruttori carioca, “grandi elettori” del sindaco Eduardo Paes, che proprio grazie al loro appoggio ha ottenuto un secondo mandato.
Da quando Rio è stata scelta come sede per le Olimpiadi, Paes ha provato ogni strada per liberarsi degli abitanti di Vila Autodromo. Secondo il progetto iniziale del sindaco, l’intera comunità si sarebbe dovuta trasferire a Tibouchina, un terreno a circa un chilometro di distanza di proprietà della Rossi Residential e di Pdg Realty – le due imprese sono tra i maggiori contribuenti della campagna elettorale di Paes e proprietarie di molti immobili nell’area della laguna di Jacarepagua, che si apprezzeranno grazie alla scomparsa di Vila Autodromo. L’amministrazione comunale era pronta a pagare per il terreno poco meno di 20 milioni di reais (all’epoca oltre 8 milioni di euro). Ma la compravendita saltò grazie alle denuncie fatte dal giornale O Estado de Sao Paulo sui rischi ambientali che presentava il terreno (una vecchia cava con forte pendenza) e sulle sospette donazioni ricevute da Paes e dal suo entourage politico.
Dopo questo clamoroso inciampo e con i fari dell’opinione pubblica ormai puntati addosso, Paes ha offerto agli abitanti di Vila Autodromo due alternative: trasferirsi in un appartamento del “Parque Carioca”, una serie di condomini popolari costruiti a circa un chilometro di distanza, oppure essere indennizzati “a prezzo di mercato” per la perdita delle loro case.
Le 376 famiglie che hanno accettato il trasferimento, sono finite tra le grinfie delle “milicias”. Questi gruppi paramilitari, formati in gran parte da poliziotti, agenti penitenziari e pompieri spesso ancora in servizio ufficiale, hanno già occupato oltre cento comunità marginali nella sola Rio de Janeiro, dove riscuotono una tassa di “protezione” – secondo l’inchiesta del settimanale brasiliano Extra, a Parque Carioca ammonterebbe a 50 reais al mese per persona – e il pizzo su ogni singola attività economica.
Non è andata meglio alle 108 famiglie che hanno scelto la via dell’indennizzo. Il denaro ottenuto non basta a trovare una sistemazione alternativa in un mercato immobiliare ormai fuori controllo a causa della fortissima speculazione. Le cifre sarebbero poi state calcolate a tutto svantaggio degli abitanti. Secondo uno studio realizzato dal Massachusetts Institute of Technology (Mit), la compensazione offerta agli abitanti di Vila Autodromo – in media 275mila reais (poco più di 70mila euro) per una casa di 40 metri quadrati – sarebbe meno della metà del reale valore di mercato. “Il Comune sembra offrire una somma ragionevole – spiegano i ricercatori del Mit, Annemarie Gray e Lawrence Vale – ma calcolando che dopo le Olimpiadi la terra ospiterà condomini di lusso ben collegati con il resto della città e considerando il valore per metro quadrato del zona in cui saranno collocati, la compensazione dovuta risulta molto più alta”.
Contro le 99 famiglie rimaste a resistere all’inizio del 2015, Paes e i suoi calano la maschera e tirano fuori i denti. Nonostante le ripetute promesse di “non costringere nessuno a lasciare Vila Autodromo senza il proprio consenso”, a fine marzo il sindaco firma un decreto che dispone l’esproprio d’urgenza. Gli abitanti erigono barricate e circondano di volta in volta le case per evitare le demolizioni. La resistenza riesce di rado a fermare le ruspe, ma i lavori vengono rallentati in modo sensibile. Il 3 giugno, un battaglione di polizia in assetto anti sommossa viene inviato a Vila Autodromo ad accompagnare i bulldozer. Quando gli abitanti formano la solita catena umana, la polizia lancia gas lacrimogeni e granate stordenti. Si scatena il panico e parte una sassaiola, cui la polizia reagisce con estrema violenza: vengono sparati proiettili di gomma e piovono manganellate. Una decina di abitanti, tra cui due anziani, vengono feriti gravemente. Da allora, i pochi abitanti rimasti a Vila Autodromo vivono in un pugno di case rimaste in piedi attorno alla chiesa cattolica. Presto anche loro saranno condannati ad aggiungersi alle oltre 170mila persone che secondo le Nazioni Unite sono state cacciate dalle proprie case per far spazio a stadi, impianti sportivi, strade e grattacieli in tutto il Brasile.