“Non credevo ai miei occhi.. mi sembrava di essere in un altro Paese”, racconta Addisalem dopo il suo primo viaggio sul babur, la metropolitana di superficie -in gergo tecnico “treno leggero”- che dallo scorso settembre è entrata in funzione ad Addis Abeba. Scendendo le scale della stazione Menelik II square -unica fermata sotterranea e capolinea della linea blu, che attraversa la città da nord a sud- ho avuto la stessa commovente impressione: ero finalmente nella “New York africana”, la città a lungo promessa e sognata dagli abebini.
La prima metropolitana dell’Africa sub-sahariana è uno dei frutti più significativi della consolidata partnership politico-commerciale tra il governo etiope e quello cinese. L’opera, completata in soli 3 anni e costata 475milioni di dollari, è stata finanziata per l’85% grazie a un prestito della Export-Import Bank of China, mentre Shenzhen Metro Group e China Railway Engineering Corporation si occuperanno della gestione per i prossimi 5 anni. L’immagine che meglio rappresenta questo matrimonio d’affari è la cabina di pilotaggio dei treni, dove un apprendista etiope affianca il macchinista cinese destinato col tempo a passargli il comando. Capitali cinesi stanno finanziando anche la nuova linea ferroviaria che il prossimo anno dovrebbe ripristinare lo storico collegamento Addis-Djibuti, mentre sarebbero già in cantiere altre linee dirette in Sudan e Kenya. Nei piani del governo, entro il 2025 in Etiopia verranno distesi 5mila chilometri di ferrovia. Una strategia in netta controtendenza rispetto al resto dell’Africa, dove invece si continua a investire nel trasporto su gomma (un treno leggero simile a quello di Addis era in cantiere a Lagos, capitale della Nigeria, ma la corruzione ha fatto piazza pulita dei fondi messi a diposizione dalla Banca Mondiale e il progetto si è arenato).
“Il babur -ha dichiarato alla Cnn il direttore generale della Ethiopian Railways Corporation, Getachew Betru- non è un’impresa votata al profitto ma un’infrastruttura sociale voluta per aiutare Addis Abeba a crescere”. Il costo dei biglietti – 2 birr (circa 8 centesimi di euro) per 8 fermate, 4 birr per 16 fermate, 6 birr per l’intera linea – è in effetti alla portata di tutti. Dietro la grata di ferro del loro gabbiotto, gli addetti alla vendita cerchiano a penna la stazione di partenza e quella d’arrivo su ciascun titolo di viaggio. Un sistema destinato a creare lunghe code, ma che al momento aiuta a umanizzare la straordinaria rivoluzione del trasporto pubblico in corso ad Addis Abeba.
Da novembre è entrata in funzione anche la linea verde, che attraversa la città da est a ovest. In totale, le due linee della ferrovia coprono 31 chilometri suddivisi in 39 stazioni, di cui 5 sono in comune. I treni viaggiano ancora a velocità ridotta -escluse le ore in cui il traffico stradale è più congestionato, l’alternativa dei “taxi” (minibus) locali continua a essere la più rapida- ma sono stati progettati per raggiungere i 70 km/h. “La flotta è composta da 41 locomotive in grado di trasportare ogni ora 60mila persone nelle 4 direzioni di marcia. Al momento – spiega Awoke Mulu, direttore della comunicazione di Addis Ababa Light Rail Transit – sono operativi una dozzina di treni su cui viaggiano in media circa 100mila persone al giorno. Ma poco alla volta il numero di vagoni e la frequenza dei treni verranno incrementati”.
“Il babur è lento e capita spesso di doverlo attendere a lungo. Siamo davvero felici che sia finalmente partito -mi dice un ragazzo che aspetta da più di mezzora il treno che lo deve portare al capolinea est di Torailoch- ma non è ancora all’altezza delle nostre aspettative”. Alcuni incidenti avvenuti nei mesi precedenti all’inaugurazione del treno – un camion e due macchine hanno sfondato la bassa e fragile recinzione della ferrovia finendo la propria corsa di traverso ai binari – fanno poi discutere della sua sicurezza. Anche i più diffidenti però non possono resistere alla meraviglia e all’entusiasmo che in questi mesi si respira nelle stazioni e sui vagoni. Più di ogni altra opera realizzata finora ad Addis Abeba, il babur rappresenta la modernità finalmente alla portata di tutti gli abebini. Mentre il treno avanza sui ponti di cemento, tanti passeggeri stanno appiccicati ai finestroni guardando la loro città che scorre fuori come non l’hanno mai vista prima. Una città in cui le vecchie baracche di lamiera ammassate una sull’altra cedono il passo a ordinate file di nuovi condomini popolari, mentre l’immagine del treno si riflette nelle vetrate a specchio dei grattacieli che formano la skyline sempre più compatta di questa nuova capitale globale.
Il tracciato della ferrovia sopraelevata ha compromesso molte delle piazze storiche di Addis: la fontana mosaico di Mexico square -simbolo dell’alleanza con l’unico Paese ad aver appoggiato le denuncie dell’Etiopia contro l’occupazione fascista davanti alla Lega delle Nazioni- è stata distrutta, mentre la statua di Olmec è relegata nel cortile del National Museum accanto a quella dell’Abuna Petros -il prete ucciso nel 1936 dai fascisti per aver condannato in pubblico l’occupazione e il colonialismo- anch’essa rimossa dall’omonima piazza per far spazio alla ferrovia. I ponti di cemento su cui corrono i binari sopraelevati hanno inoltre oscurato il Leone di Giuda nella piazza di La Gare e il balcone da cui i leader politici erano soliti rivolgere i loro discorsi alle adunate di popolo in Meskel square. In pochi però se ne lamentano, mentre gran parte degli abebini sembra accettare di buon grado il sacrificio. Il babur rappresenta il presente e il futuro, la modernità che avanza in una società affamata di progresso. Un simbolo in grado di vantare un insolito rispetto anche tra gli ultimi cittadini di Addis: ad Autobus Tera (il “posto degli autobus”) una muta di mendicanti scalzi e pulciosi sale a bordo per un paio di fermate. Quando il gruppo mi passa accanto, incrocio lo sguardo di una ragazzina che, riflesso automatico, allunga la mano per chiedermi una moneta. La donna al suo fianco afferra il braccio teso con un gesto brusco e poi rimprovera severa la bambina: “non si fa l’elemosina sul babur!”.