Grande gioco sul Nilo – il venerdì di repubblica 7/2020

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“L’Egitto è un dono del Nilo”, scriveva Erodoto 25 secoli fa. Primo grande reporter della storia, lo scrittore greco dedicò molti anni alla ricerca delle sorgenti del fiume. Ma riuscì a spingersi solo “fino alla città di Elefantina”, poco prima del punto in cui oggi si erge la grande diga egiziana di Assuan. Non raggiunse mai l’Altopiano etiope, dove ha origine il Nilo Azzurro, il ramo del fiume che fornisce l’86% delle acque che poi attraversano il Sahara. Non poté dunque scoprire che “il Nilo è un dono di Dio anche per l’Etiopia”, come rivendicano gli etiopi.

Un dono che ora l’Etiopia si appresta a utilizzare per la produzione di energia elettrica, come già fanno Egitto e Sudan. Approfittando della stagione delle piogge appena cominciata, secondo alcune immagini satellitari il governo etiope avrebbe dato inizio alle operazioni di riempimento dell’invaso della Grand Ethiopian Renaissance Dam (Gerd), il più maestoso impianto idroelettrico dell’Africa. Cominciata nel 2011, l’opera è ancora al 70 per cento, ma le prime 2 turbine sono già installate e pronte all’uso. Quando sarà completa, la Gerd avrà una potenza di oltre 6mila megawatt e un bacino più grande della città di Londra.

Per gli etiopi è la realizzazione di un sogno che risale all’impero di Haile Selassie e ha cominciato a materializzarsi soltanto sotto il governo di Meles Zenawi, leader dalla caduta del regime comunista del Derg nel 1991 fino alla morte nel 2012. Da un decennio, sulle pareti di molte case etiopi sono incorniciati in bella mostra i “Renaissance bond”, le azioni popolari con cui Meles riuscì a finanziare la Gerd nonostante la riluttanza a partecipare della Banca Mondiale e degli altri investitori internazionali. Alle banche etiopi fu imposto di dedicare all’opera almeno un quarto della propria liquidità, mentre i dipendenti pubblici dovettero contribuire con un mese di salario. Attraverso minibond da 50 birr (all’epoca, poco più di 2 dollari) la sottoscrizione coinvolse pure tassisti e lustrascarpe. Meles riuscì a mettere insieme oltre 4miliardi di dollari, affidati all’italiana Salini, già responsabile dei progetti idroelettrici lungo il fiume Omo, nell’Etiopia meridionale.

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Se Erodoto non era riuscito a scoprire l’origine del Nilo, di certo non avrebbero dovuto ignorarla gli inglesi quando, con un trattato coloniale del 1929, riconobbero “i diritti naturali e storici dell’Egitto sulle acque del Nilo”, stabilendo che ogni sviluppo a monte del fiume avrebbe dovuto rispettarli. Da qui e da un successivo accordo di spartizione firmato nel 1959 con il Sudan, nasce la pretesa supremazia dell’Egitto sull’amministrazione del fiume. Soltanto nel 1999 venne fondata la Nile Basin Initiative, un partenariato che vorrebbe coinvolgere gli 11 Paesi interessati dal bacino idrografico del fiume per garantire pace e sicurezza nella regione.

Gli egiziani dipendono dal Nilo per circa il 90 per cento del proprio approvvigionamento idrico e ogni nuovo leader ha ribadito che uno sbarramento etiope al corso del fiume rappresenterebbe “una minaccia esistenziale”. Da quando è cominciata la costruzione della Gerd, l’Egitto ha provato a bloccarla in ogni modo. Alcuni dispacci resi pubblici nel 2012 da Wikileaks raccontano come il presidente Mubarak fosse pronto a “inviare degli aerei militari per bombardare la diga o delle forze speciali per sabotarla”. Il mese scorso, il ministro degli Esteri del Sud Sudan si è dovuto affrettare a smentire le notizie diffuse da JubaTV, il network più popolare del Paese, secondo cui il governo sud-sudanese avrebbe concesso all’Egitto di costruire una base militare non lontano dal confine con l’Etiopia. Come riportato dagli investigatori delle Nazioni Unite, il governo del Cairo ha già inviato molte armi in Sud Sudan. Sempre a giugno, una serie di cyber-attacchi ha bloccato molti siti web del governo etiope: “Se il livello del fiume scenderà, che i soldati del Faraone si precipitino e tornino soltanto dopo aver liberato il flusso del Nilo”, recitava il messaggio lasciato dagli hacker.

[VENERDI - 28]  VENERDI/ESTERI ... 1687 - 17/07/Il governo etiope ha più volte accusato l’Egitto di alimentare anche i disordini interni, che dal 2015 stanno destabilizzando l’Etiopia. A esempio, sono in molti a pensare che dietro al misterioso omicidio del popolare cantante Hachalu Hundessa, ucciso a colpi di pistola il 29 giugno ad Addis Abeba, possano esserci i servizi segreti egiziani. Hachalu era molto amato dagli Oromo, il gruppo più numeroso della popolazione etiope, di cui fa parte anche il padre dell’attuale premier Abiy Ahmed, ma che è ancora marginalizzato in Etiopia. Le sue canzoni sono state la colonna sonora delle proteste che hanno portato alla caduta dell’ex primo ministro Hailemariam Dessalegn, rimpiazzato da Abiy ad aprile 2018. La mattina dopo l’omicidio, nuove violenze sono scoppiate in gran parte dell’Etiopia, provocando centinaia di morti e migliaia di arresti. In prigione sono finiti anche i leader di alcuni di quei partiti d’opposizione (Oromia Liberation Front e Oromo Federalist Congress) che Abiy aveva legalizzato appena insediatosi, considerati “organizzazioni terroristiche” dal precedente governo. Tra questi Jawar Mohammed, capo indiscusso della fazione più violenta degli Oromo e fondatore di Oromia Media Network, la piattaforma che dal 2015 ha più contribuito ad alimentare l’odio interetnico in Etiopia. Bloccato dal giorno successivo all’assassinio di Hachalu, internet è ancora inaccessibile in tutto il Paese. La dura reazione di Abiy – senza precedenti per l’attuale premio Nobel per la Pace – ha inasprito le critiche di Human Rights Watch e Amnesty International, che già negli scorsi mesi avevano accusato il governo di utilizzare in modo arbitrario la nuova legge contro l’incitamento all’odio e la disinformazione e di non aver sanzionato violenze e abusi delle forze di sicurezza in Oromia e Amhara.

Con il mandato costituzionale del governo in scadenza a ottobre e le elezioni previste per agosto rimandate a data da destinarsi per la pandemia, la situazione dell’Etiopia rischia di degenerare. La speranza è che proprio l’entusiasmo intorno alla messa in opera della Gerd possa ricompattare il Paese. In patria, la realizzazione della diga è considerata alla stregua della battaglia di Adwa del 1896, quando l’esercito etiope respinse gli invasori italiani. Abiy ha ribadito più volte che “niente e nessuno fermerà la Gerd, la costruzione dell’impianto andrà avanti nonostante la pandemia e l’impasse diplomatico”. A febbraio, l’Etiopia si è rifiutata di firmare un documento facilitato da Stati Uniti e Banca Mondiale, perché ritenuto troppo sbilanciato in favore delle pretese egiziane. In una lettera di giugno diretta al Consiglio di sicurezza dell’Onu, il ministro degli Esteri sudanese ha spiegato che “Etiopia, Egitto e Sudan sono d’accordo su circa il 90 per cento delle questioni legate alla Gerd”. Manca però un’intesa sui tempi di riempimento della diga e sulla gestione dell’impianto in periodi di prolungata siccità. L’Etiopia vorrebbe che i rischi legati alla scarsità d’acqua fossero condivisi tra tutti i Paesi sul bacino del fiume, compresi quelli del Nilo Bianco, mentre l’Egitto insiste perché gli etiopi s’impegnino a mantenere un flusso garantito a valle della diga.

Mentre la diplomazia internazionale prova ad appianare le divergenze politiche – Unione Africana e Nazioni Unite hanno intensificato gli sforzi nelle ultime settimane – la comunità scientifica mette in guardia dai rischi legati all’emergenza ambientale. “Nella regione del bacino del Nilo, nonostante nei prossimi anni sia probabile un aumento delle precipitazioni, le stagioni di siccità sono destinate a intensificarsi a causa del riscaldamento globale. Nel 2040, il 45 per cento della popolazione locale, quasi 110milioni di persone, potrebbe soffrire per la scarsità d’acqua”, ha avvisato l’American Geophysical Union. “Senza un accordo politico che disciplini la stretta collaborazione tra tutti i Paesi coinvolti – ci dice Peter Gleick del Pacific Institute – c’è il rischio che la disputa sulla gestione del Nilo possa andare oltre le minacce verbali. Le guerre per l’acqua sono molto rare, ma gli episodi di violenza legati alle risorse idriche stanno crescendo in tutto il mondo”.

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