Nonostante le stime parlino d’un esercito di oltre 150mila persone, per chi vive sulle strade del nostro Paese è facile sparire. Da un lato l’indifferenza della gente, più gelida delle notti d’inverno, che trasforma i barboni in mero arredamento urbano. Dall’altro le amministrazioni pubbliche che, ignorando diritti garantiti per legge, decretano la morte civile di chi non ha una dimora. È il caso del diritto alla residenza anagrafica. Moltissimi Comuni italiani pongono, senza alcuna legittimità giuridica, limiti e ostacoli all’iscrizione anagrafica dei senza dimora. Le conseguenze sono devastanti: a chi non possiede una residenza è negato il rilascio della carta d’identità e della tessera sanitaria. E senza documenti si perde il diritto di voto, non si può lavorare, non si ha accesso al sistema sanitario nazionale (se non per le cure di pronto soccorso), né alle liste per l’assegnazione di una casa popolare. Insomma, almeno a livello civile, si smette di esistere.
Eppure la giurisprudenza in merito è chiara. Secondo la legge anagrafica chi “non ha fissa dimora si considera residente nel Comune ove ha il domicilio, e in mancanza di questo nel Comune di nascita”. Nelle note illustrative della stessa legge, l’Istat aggiunge che, quando non è il senza dimora ad eleggere un indirizzo specifico presso cui intende essere domiciliato, l’ufficiale d’anagrafe deve provvedere a istituire una via territorialmente inesistente, fittizia. A oggi la via fittizia esiste soltanto a Roma, Bologna, Firenze, Napoli, Verona, Foggia e Bari. Nella Capitale si chiama via Modesta Valenti, in memoria d’una barbona che viveva alla stazione Termini, morta senza ricevere soccorso perché era sporca. A Firenze, una delle amministrazioni più virtuose quanto ad accoglienza (ha iscritto oltre 1500 senza dimora, quasi tutti con una prestazione sociale in corso), è invece via Libero Leandro Lastrucci, per oltre un ventennio direttore dell’albergo popolare. Allo stesso indirizzo la scorsa estate è stata allestita, primo caso in Italia, anche una casella postale a cui i senza dimora fiorentini possono ricevere la corrispondenza. Ma, a fronte di alcuni casi d’eccellenza, il quadro generale continua a essere di diffusa illegittimità. Comuni importanti come Genova e Torino hanno addirittura esautorato l’ufficiale d’anagrafe dalle sue competenze esclusive in materia, in modo da contenere il numero degli iscritti in base a criteri sociali ed economici assolutamente non previsti dalla legge anagrafica.
Per far fronte a questa situazione da alcuni anni sono nate associazioni di volontariato che offrono assistenza legale gratuita alle persone senza dimora. La più nota è “Avvocato di strada”, nata a Bologna nel 2000 su iniziativa dell’associazione “Amici di Piazza grande”. Allo sportello aperto presso l’associazione si alternano più di 40 volontari: si tratta di giovani professionisti che a motivazioni altruistiche affiancano l’opportunità d’imparare tanto facendo pratica in modo serio. A questi s’aggiungono una trentina di avvocati che, pur non effettuando servizio allo sportello, sono disponibili a seguire gratuitamente un paio di cause all’anno. La prima grande vittoria ottenuta è stata proprio quella per il diritto alla residenza, divenuto poi cavallo di battaglia dell’associazione. Nel 2001 si rivolge a Piazza grande l’utente di un dormitorio comunale bolognese: da 4 anni ha fatto richiesta per la residenza ma non riesce neanche a conoscere la sua posizione nelle liste d’attesa. Con l’aiuto dei legali dell’associazione intenta una causa contro il Comune. E vince, aprendo la strada ad altri 300 senza dimora divenuti cittadini bolognesi.
Da allora Avvocato di strada ha fatto passi da gigante. Oggi è divenuta un’associazione nazionale con sportelli in 14 città. “Il 29 settembre inaugurerà la sede di Jesi – ci racconta il presidente Antonio Mumolo – mentre siamo molto vicini ad aprire a Roma, Milano, Firenze e Caserta. Quanto alla residenza, abbiamo appena ottenuto che il Comune di Bologna affigga in ogni dormitorio un cartello che illustri il diritto degli ospiti a chiedere e ottenere la residenza in quel luogo. Oggi però l’urgenza maggiore è l’assegnazione dei minori: prima di strappare i figli a chi vive per strada, i Tribunali dovrebbero accertare se esistono altri membri della famiglia a cui ricorrere per un affido temporaneo. In 2 casi siamo riusciti a evitare che i piccoli venissero dati in adozione”.
Una mamma ritrovata – Giovanna è una ragazza sarda cui l’isola sta stretta. Così, tra le proteste dei genitori, se ne va a Bologna, per studiare al Dams. Presto però finisce in un brutto giro: comincia a far uso d’eroina e, tra un buco e l’altro, si ritrova per strada. Sotto ai portici s’innamora di un ragazzo extracomunitario con cui vive una relazione elettrica e tempestosa. Il rapporto si schianta sul ventre gonfio di Giovanna, davanti a cui il ragazzo sceglie di dileguarsi. Lei nasconde la gravidanza alla famiglia e per ricevere assistenza si rivolge al Sert. Alla nascita del bambino, grazie alla pronta comunicazione dei carabinieri, i genitori di Giovanna scoprono in un colpo solo di esser diventati nonni e di avere una figlia tossicodipendente. Il Tribunale per i minori di Bologna sospende la podestà genitoriale di Giovanna e poco più tardi, nonostante la disponibilità a collaborare dei nonni, accerta lo stato di abbandono del minore dichiarandolo adottabile. È qui che intervengono i legali di Avvocato di Strada, opponendosi al decreto del Tribunale. Dopo 5 estenuanti ore di processo ottengono che Amir sia affidato alla cura dei nonni, con l’ausilio e la vigilanza dei servizi sociali di Orosei (Sassari) che si occuperanno del graduale riavvicinamento di Giovanna (che nel frattempo ha trovato un nuovo compagno, una sistemazione e un lavoro) a suo figlio.
Corsi e ricorsi allo sportello degli Avvocati di strada – Dal gennaio 2001, i legali dello sportello bolognese di Avvocato di strada hanno fornito assistenza “in circa 1200 casi”, secondo le stime del presidente Antonio Mumolo. A dicembre dello scorso anno, ultimo aggiornamento effettuato dall’associazione, si contavano 833 pratiche di diritto civile (43%), penale (31%) e amministrativo (26%). A usufruire del patrocinio gratuito in 4 casi su 5 sono stati cittadini italiani. Pratiche aperte per il riconoscimento del diritto alla residenza (53 casi), per ottenere l’affidamento dei figli (26) o la separazione (55), per impugnare un foglio di via o un decreto di espulsione (50). Ma anche cause per truffa, ricettazione, furto, traffico di stupefacenti: molti reati contro il patrimonio e pochi contro la persona. In quasi 7 anni d’attività neanche un caso di omicidio.