Theodros Teshome è considerato l’uomo che ha fatto rinascere l’industria del cinema etiope. Il suo Kazkaza Welafegn (2003) -film girato con l’intento di sensibilizzare alla questione dell’Aids, ma presto divenuto agli occhi del pubblico un simpatico elogio del dongiovannismo in salsa etiope- ha innescato la miccia del “boom” di Addywood: 600 film prodotti negli ultimi 10 anni, un quinto solo nel 2013, che nelle sale locali hanno sbaragliato la concorrenza dell’industria americana e indiana. Ma Teddy è tutt’altro che un eroe nazionale. Il governo etiope ha appena bloccato il suo conto in banca. Il regista e produttore è accusato di plagio: la trama di Sost Meazen (2013) -suo ultimo film, in cui una coppia in fuga dall’Etiopia si dirige in Italia attraverso la Libia per sfuggire alla famiglia di lei, contraria alla loro unione- sarebbe stata ricalcata dal libro Fiker Sibekel (2006) di Atenkut Mulugeta, senza il permesso dell’autore. Secondo un’altra versione, il blocco del conto sarebbe dovuto invece a ragioni fiscali, milioni di tasse arretrate per l’importazione di costose attrezzature. L’improvviso accanimento del fisco andrebbe collegato a un’intervista rilasciata dal regista mentre era negli Stati Uniti, sgradita all’Ethiopian People Revolutionary Democratic Front (Eprdf), partito al potere in Etiopia da oltre 20 anni. Teshome denunciava la drastica censura imposta ai cineasti nazionali, che scoraggia ogni slancio creativo spingendo a inseguire il successo con pellicole commerciali e disimpegnate.
Dagli anni Settanta – quando il documentario inglese The Unknown Famine svelò al mondo le condizioni di estrema povertà della popolazione etiope, contribuendo a innescare la rivolta che portò alla caduta dell’imperatore Halie Selassie e all’inizio della dittatura comunista del Derg – il cinema è guardato dalla classe politica etiope come un’arma pericolosa, in grado di rovesciare il destino della nazione. Di conseguenza la censura è molto forte. Viene esercita in modo indiretto, attraverso la penuria di fondi pubblici alla formazione e produzione artistica, che abbandona i registi nelle mani della ristretta cricca dei proprietari delle sale, interessati solo a pellicole molto commerciali. Ma anche grazie alle commissioni tecniche ministeriali, deputate sulla carta a verificare la qualità audio e video delle pellicole, ma attente soprattutto a castrare ogni trama scomoda. Anche la chiesa ortodossa non ha mai visto di buon occhio il cinematografo. L’odierno Wafa Cinema, il più antico di Addis (fine XIX secolo), è noto ancora oggi come Seitan Bet, la “casa del diavolo”, a causa della campagna di boicottaggio orchestrata dal clero contro quella che sarebbe stata una delle prime proiezioni di tutta l’Africa.
Ieri come oggi, l’opposizione dei poteri forti non pare però sufficiente ad arrestare l’avanzata del cinema. A braccetto con la crescita economica più alta e stabile tra i Paesi africani, l’industria cinematografica etiope gode infatti di ottima salute. Budget ancora modesti, che superano di rado 20mila dollari, ma profitti che possono arrivare fino a 5 volte il capitale investito. Un settore sempre più promettente per la massa di giovani disoccupati in cerca di un’occasione: non solo attrici e registi, ma anche tecnici audio e montatori video, truccatrici, addetti alle luci, logisti e tanti altri mestieri nati attorno all’orbita di Addywood. Una stella che sta conquistando sempre più spazio nel firmamento del cinema africano. Nella programmazione delle sale etiopi, la produzione locale ha già relegato la concorrenza di Hollywood e Bollywood a orari marginali.
Se in altri Paesi africani il consumo di cinema è legato soprattutto all’home-video, in Etiopia le sale cinematografiche hanno invece un successo eccezionale. Grazie all’iniziativa privata, moderni cinema multi-sala stanno spuntando come funghi in molte città. Soltanto nella capitale, oggi se ne contano più di 20 (dieci anni fa c’erano appena 3 sale pubbliche). Per i giovani in coda davanti agli ingressi, pronti ad attendere ore pur di vedere uno degli ultimi successi locali, i nuovi multi-sala rappresentano la prosperità di cui sono affamati, la modernità arrivata finalmente anche nel loro Paese. Qui il cinema è diventato soprattutto un fenomeno di costume. Entrare nelle sale è un gesto che testimonia la progressiva emancipazione dalla povertà, l’acquisizione di un nuovo status sociale. Le piccole sale clandestine, allestite spesso alle spalle di un negozio di dvd, in cui per pochi spicci è possibile assistere alla proiezione di una copia pirata, stanno pian piano sparendo.
Il genere imperante è quello della commedia romantica disimpegnata e la qualità media dei film è ancora piuttosto scadente. Ma il pubblico etiope non sembra badare troppo ai contenuti. Al cinema si va in coppia, alla ricerca di un angolo di intimità in una società che guarda di cattivo occhio qualsiasi effusione amorosa fatta in pubblico. Si va con gli amici, per ridere e commentare -ad alta voce durante la proiezione- le battute del proprio attore preferito. L’universo di Addywood ha colonizzato anche l’iconografia urbana di Addis. Nelle principali piazze della città le star spuntano da giganteschi manifesti pubblicitari, affollano le prime pagine delle riviste in mano agli strilloni. I poster con i nuovi film in uscita sono ovunque: tappezzano i muri, si affacciano dalle vetrine dei negozi, colorano le fiancate dei “taxi” collettivi che affollano le strade.
L’agenda culturale della città è riempita dagli eventi legati all’industria cinematografica. Gli alberghi più lussuosi ospitano scintillanti film premiere delle ultime uscite, in cui aspiranti attrici e giovani registi vestiti secondo il glamour occidentale siedono affianco a elegantissime signore incartate come caramelle negli abiti tradizionali. Il prestigioso National theatre fa da cornice agli Oscar del cinema etiope -i “Gumma” awards, cerimonia di premiazione che prende il nome dal più celebre film dello storico regista Michel Papatakis- e alle opening dei festival cinematografici -il Colors of the Nile International film festival (Coniff) e l’Ethiopian Internationa film festival, le cui selezioni girano poi per i tanti Istituti di cultura stranieri presenti ad Addis.
Nonostante la forte censura imperante, il “boom” ha visto emergere molti registi: dai più prolifici Henoch Ayele, Biniam Worku e Yonas Berhane Mewa, ai più intransigenti Yidnekachew Shumete e Paulos Regassa. Ma soprattutto è nata una nuova generazione di cineasti, che non sogna più di fuggire all’estero ma vuole invece contribuire alla rinascita culturale del proprio Paese. Ogni giovedì sera, nei locali messi a disposizione dal centro culturale russo “Aleksandr Puskin”, l’associazione di registi Allatinos si riunisce per proiettare un film e analizzarne insieme gli aspetti tecnici e il potenziale creativo. Sono giovani pieni di energie e speranze, ma anche frustrati dalla mancanza cronica di fondi e di sostegno alla formazione (in Etiopia le scuole di cinema sono una rarità). Consapevoli che in Etiopia finora il successo ha premiato pellicole commerciali con trame simili e stucchevoli, sanno che per farsi un nome che vada al di là dei confini nazionali devono sfidare la censura imposta dal governo.
Nei primi anni Sessanta, l’eccentrico commerciante Ilala Ibsa vendette tutti i suoi beni per produrre il suo (unico) film Hirut, Abtwa Manewn, primo lungometraggio mai prodotto da un etiope. La pellicola narra di una donna, che per far fronte alle difficoltà della vita ad Addis, finisce per prostituirsi. La sua esperienza svela le contraddizioni dell’Etiopia dell’epoca, un paese ancorato con forza ai valori della tradizione ortodossa nonostante i progetti di modernizzazione infrastrutturale voluti dall’imperatore, dove la modernità occidentale si è infiltrata in modo rapido e inaspettato dando vita a inattesi quanto affascinanti risultati. Sulla stampa locale, Ilala difendeva il diritto del cinema a raccontare una realtà lontana dagli stereotipi del nazionalismo e della tradizione ortodossa. Oggi i più coraggiosi tra i giovani di Allatinos sembrano pronti a raccogliere la sua eredità. Grazie all’energia esplosiva e alla grande popolarità del cinema etiope, potrebbero dare finalmente espressione ai bisogni di maggiore libertà ed equità della popolazione