La motocicletta sbanda sulla sabbia, sobbalza tra le buche della pista che collassa di continuo nel letto profondo dei torrenti in secca. Ogni tanto incrociamo un carretto di legno trainato da un asino, gli sguardi curiosi dei passeggeri scompaiono nella polvere infuocata dal sole. Ai lati della “strada” sfilano piccoli gruppi di capanne di legno e fango, le sommità dei tetti di paglia raccolte in splendide anfore di terracotta, l’ingresso incorniciato da pregevoli dipinti. “Lollo, Lollo, Abba Lollo”, gridano i bambini che abbandonano i cortili per correre dietro a noi. Viaggiamo nella woreda (distretto) del Siraro, sulla via che dalla cittadina di Alaba porta al villaggio di Ropi. A casa di Lollo.
Architetto “missionario”, Lorenzo Fontana vive e lavora in Etiopia da 7 anni. Per costruire la sua casa etiope ha scelto una zona dove non arrivano i tralicci della corrente elettrica, i tubi dell’acqua e il manto asfaltato delle strade. Qui ha imparato a chiedere alla polvere e ad ascoltare le pulci, a vivere un tempo scandito da un ritmo diverso da quello lasciato a Genova. Qui ha deciso di portare la sua “buona novella”, lavorando al fianco degli abitanti di Ropi.
Il Siraro è un distretto martoriato dall’erosione. La vegetazione rada della savana viene tagliata di continuo per farne capanne, carretti, legna per le cucine. Durante la stagione secca la terra si spacca in crateri profondi, durante quella delle piogge l’acqua piovana s’infila nelle vene aperte del suolo e le spalanca. Ispirato dal lavoro e dalle idee di Hassan Fathy e di Fabrizio Caròla, Lorenzo ha pensato di arginare l’avanzata dell’erosione introducendo nella zona una nuova tecnica costruttiva, che preveda l’utilizzo di mattoni in terra cruda al posto del telaio ligneo tipico delle capanne locali.
“L’Etiopia può vantare una cultura architettonica straordinaria, viva e pulsante: 82 diverse etnie realizzano capanne che si distinguono per forma, dimensioni, materiali, struttura portante e altro ancora. Ogni singola tipologia è il risultato di intere generazioni di osservazioni, prove e aggiustamenti. Ciò avviene in modo spontaneo, graduale, un po’ come nell’evoluzione delle specie animali”. Lollo ha attinto a piene mani alla rete di questi saperi antichi, studiando a fondo l’architettura tradizionale etiope. “Per le opere realizzate in Etiopia ho sempre utilizzato tecniche e materiali locali. Grazie all’ottima terra dei termitai si possono ottenere mattoni forti, e una struttura molto più solida e duratura di quella delle capanne in legno. Oggi a Ropi sono ancora poche le famiglie che per realizzare la propria casa hanno scelto di abbandonare il telaio ligneo e sperimentare il muro in mattoni. Ma sono convinto che pian piano questa novità verrà assorbita dalla cultura locale”.
Ricercatore, cooperante, scrittore: è impossibile racchiudere Lorenzo nella sola dimensione dell’architetto. Per portare avanti i suoi progetti si è appoggiato di volta in volta a partner diversi: università, enti locali, associazioni, ong internazionali. Al momento collabora con il Ciai, una ong italiana che l’ha aiutato a realizzare un asilo e un centro che ospita diverse realtà di Ropi. Tra queste la cooperativa Nuu fi Nuu (Noi per Noi), che partita come impresa di costruzioni oggi si occupa anche di didattica, formazione, orticultura e autoproduzione. “Abbiamo pensato l’asilo come un villaggio in miniatura. Un grande spazio aperto con alberi, una piazza centrale e soprattutto orti. Ogni bambino ha in uso una piccola porzione di terra, che deve seminare, liberare dall’erbacce, innaffiare durante la stagione secca, e di cui raccoglierà i frutti. Le maestre coordinano l’esperienza, e si occupano delle fasi più complesse: aratura, utilizzo di pesticidi naturali, vendita degli ortaggi”.
Lollo ha piantato radici ben salde a Ropi, senza dimenticare però di spingere i suoi getti anche lontano dall’Etiopia. Nel 2011 ha pubblicato le sue Lezioni africane, un libro che sta facendo il giro delle facoltà di architettura in Africa ed Europa. Ogni anno organizza dei workshop aperti a giovani architetti di tutto il mondo, desiderosi di fare un’esperienza di vita e di cantiere straordinaria. Per alcune settimane gli studenti hanno la possibilità di costruire con la gente di Ropi, condividere conoscenze e valori attraverso il lavoro. “Per favorire lo sviluppo dell’Etiopia non serve distribuire derrate alimentari o vestiti. La trasmissione del sapere è il vero motore dello sviluppo. I Paesi più ricchi dovrebbero esportare qui tecnologie moderne e rispettose dell’ambiente, non scarti di produzione e briciole di carità”.
Risaliamo in sella alla moto, e prendiamo la strada dei laghetti vulcanici a sud di Ropi. Ci fermiamo in villaggi dove non c’è neanche un pozzo per l’acqua, ad ammirare le lapidi di pietra scolpita dei cimiteri. Per la merenda accettiamo l’invito di una famiglia locale: pizzette di granturco ancora calde, accompagnate da foglie di cavolo appena scottate e generose tazze di caffè all’aglio. Una delizia. Il sole sta tramontando ed è ora di ritornare a casa. La luce del crepuscolo accende la terra e incanta il cuore. “Pensi di tornare a vivere in Italia prima o poi?” chiedo titubante. La sua risposta arriva sferzata dal vento: “Non lo so. Da noi il presente è intasato dal passato. Qui invece c’è spazio per costruire il futuro”.