È buio pesto quando accetto l’invito del poeta: “sube a nacer conmigo, hermano. Dame la mano desde la profunda zona de tu dolor diseminado”. Imbocchiamo il sentiero ruminando foglie di coca, l’Abuelo in testa a dare il ritmo col suo passo da montanaro. Gli autisti dei bus turistici ancora ronfano all’interno dei loro mezzi. Tra qualche ora accompagneranno migliaia di persone al sito archeologico di Macchu Picchu. Noi però saremo già in cima alla “vecchia montagna”.
La scarpinata attraverso la selva è massacrante. A causa del buio perdiamo spesso il sentiero sottile che risale il pendio. In alcuni casi siamo costretti ad arrampicarci usando anche le mani. Ma la fatica scompare quando nel primo chiarore del nuovo giorno appare la cittadella. Galleggiamo immersi nella meraviglia del sito deserto. Accarezziamo le pietre delle rovine, riceviamo la benedizione degli invisibili custodi di questo tempio eterno.
Il sole sta per spuntare e tra poco la magica quiete in cui siamo avvolti scomparirà. Wayna Picchu, il picco che dall’altopiano s’innalza più alto, ci offre un rifugio dove poter continuare a contemplare tanta bellezza. Riprendiamo a salire. Lo spettacolo che si gode dalla cima è mozzafiato: le acqua dell’Urubamba si separano in due rami, che abbracciano la vecchia montagna prima di ricongiungersi e continuare la loro corsa verso valle. La cittadella degli Inca comincia ad annegare tra fiumi di turisti. Ma quassù il chiasso della folla non può arrivare. Per un momento ho l’impressione che anche gli spiriti dei custodi siano saliti al nostro fianco, in attesa che sul loro tempio, “alto arrecife de la aurora humana”, torni la pace.
Ho scritto la nota che ripropongo di seguito -pubblicata da Kronstadt ormai più di dieci anni fa- mentre ripercorrevo il sentiero fertile degli Incas: dalle isole sacre del lago Titicaca, attraverso Cusco e il Vale Sagrado, fino a Macchu Picchu. Oggi chi vuole raggiungere la vecchia montagna e il suo tempio eterno deve imbarcarsi sempre sullo stesso treno.
Quando si avvicina la stagione delle vacanze, fatti i conti con quanto è rimasto nelle tasche, in tanti si fermano davanti alle colorate vetrine di un’agenzia di viaggio. Fotografie e slogan accattivanti invitano la fantasia degli aspiranti viaggiatori a perdersi per mète lontane.Tra i Paesi che si vendono meglio c’è il Perù. Le spiagge oceaniche del Nord, Iquitos e la selvaggia Amazzonia, Cusco e le sue favolose chiese. Ma soprattutto la Cordillera delle Ande, teatro dell’antica civiltà Inca, di cui Macchu Picchu è l’icona suprema. “Alto arrecife de la aurora humana”, come cantava il poeta Pablo Neruda, il sito archeologico è un centro di gravità permanente per il turismo di massa, che si riversa qui a fiumi in ogni stagione. Uno spettacolo sempre all’altezza delle aspettative. Mentre i primi raggi del sole risvegliano Wayna Picchu -il picco che s’innalza più alto dalla “vecchia montagna” (traduzione dalla lingua quechua di “Machu Picchu”)- e immerso nel profumo della selva mi gusto lo spettacolo del sito ancora deserto, un pensiero mi attraversa la mente: ci sono luoghi che non si possono descrivere, perché vanno vissuti di persona.
Altre storie invece vanno raccontate a tutti.. La scoperta scientifica di Machupicchu viene fatta risalire al 1911, a opera dello studioso nordamericano Hinam Bingham. A quei tempi il Vale Sagrado, che da Cusco serpeggia tra le montagne fino a raggiungere il sito archeologico, poteva essere attraversato soltanto a piedi. Bingham scoprì le rovine nascoste nella selva guidato dalla mano gentile di un bambino, figlio di campesiños locali.
Oggi invece a Machupicchu si va in treno. Fino a una decina di anni fa la ferrovia era di proprietà statale. Per qualche spicciolo peruviani e stranieri potevano raggiungere Aguas Calientes -il villaggio ai piedi della vecchia montagna- viaggiando fianco a fianco. Poi arrivò l’epoca di Alberto Fuyimori e delle privatizzazioni. Con la scusa di rendere più efficienti alcuni servizi, il nuovo presidente consegnò in mani straniere gran parte delle meraviglie del Paese.
Nonostante la privatizzazione, il treno continua a essere lento, inefficiente e inquinante come 10 anni fa. Ma le novità di certo non mancano. Passeggeri locali e stranieri devono viaggiare in vagoni separati. Il costo del biglietto, leggermente aumentato per i peruviani, è diventato scandaloso per gli altri turisti: percorrere i 150 km che separano Cusco da Aguas Calientes (4 ore e mezza di viaggio!) costa 60 dollari. Unica alternativa affrontare l’esoso “Camino Inca”: 3 giorni di passeggiata con guida, cuoco e portatori obbligatori. Chi provasse ad avventurarsi a piedi lungo le rotaie -un percorso che da Ollantaytambo, ultimo villaggio raggiungibile in bus, in 8 ore conduce ad Aguas Calientes- rischia di finire tra le pericolose grinfie dei vigilantes.
A completare la beffa, durante il viaggio di ritorno da Aguas Calientes lo stesso personale del treno distribuisce volantini pubblicitari di alcune compagnie di bus, che per 5 soles (poco più di un euro) offrono al viaggiatore di arrivare a Cusco nella metà del tempo che impiega il treno. Nella Plaza de Armas di Aguas Calientes, c’è un enorme cartello scritto a mano. Dice che “il popolo peruviano si dichiara estraneo a qualsiasi disservizio in cui il turista possa incorrere viaggiando sul treno. La ferrovia è stata data in concessione per 30 anni a misteriosi stranieri (c’è chi dice siano cileni, chi inglesi, chi nordamericani, ndr) e il popolo non si sente responsabile della condotta dei suoi pessimi governanti”.