Il sole è tramontato da poco, quando sull’orizzonte piatto del mare appare il primo puntino luminoso. Il Capitano gli lancia un’occhiata tagliente, e sbuffando torna in cabina a occuparsi del coniglio selvatico che rosola nel tegame. Gli altri pescatori, pugni stretti e sguardo fisso sulla luce, snocciolano un personale rosario d’imprecazioni. In breve il puntino diventa un gigantesco castello di luci nella notte, una nave da crociera diretta senza rimedio verso di noi, dritta sulla rete da pesca finita di calare solo un’ora prima. “Tranquillo, è così ogni notte”, prova a rassicurarmi il Capitano quando si rende conto che mi sono fatto pallido. “La nave danneggerà solo qualche centinaio di metri di rete. Pescheremo comunque. Vieni dentro ad assaggiare il coniglio ischitano!”. Galleggiamo 32 miglia a largo dell’isola di Ischia, sulla rotta dei traghetti che fanno la spola tra Napoli e la Sicilia. Mentre provo a mandar giù qualche timido boccone, dalla radio di bordo arrivano gli sfottò dei pescherecci che ci siamo lasciati alle spalle, nella corsa ai pochi esemplari rimasti di tonno rosso e pesce spada che c’ha spinti in acque così pericolose.
La popolazione dei predatori d’alto mare è in condizioni critiche. In particolare il tonno rosso (Thunnus thynnus), specie diffusa soprattutto nel mar Mediterraneo e nell’Oceano Atlantico, è allo stremo. Le organizzazioni ambientaliste, come Wwf e Greenpeace, ne scoraggiano l’acquisto e il consumo, suggerendo un fermo totale di almeno un lustro alla pesca e alla commercializzazione. Il Principato di Monaco ha proposto che la specie sia inserita tra quelle in via d’estinzione, e che ne venga di conseguenza bandito il commercio internazionale. Ma l’iniziativa si è scontrata prima in sede comunitaria con gli interessi di Italia, Francia, Spagna, Grecia e Malta; per poi naufragare a Doha durante la riunione della Convention on International Trade in Endangered Species (Cites), l’organismo delle Nazioni Unite che si occupa di disciplinare il commercio internazionale delle specie minacciate d’estinzione. La sera prima che le delegazioni nazionali votassero sull’opportunità d’inserire il tonno rosso nell’appendice 1 del Cites, che ne avrebbe consentito solo la pesca per il consumo interno, l’agguerritissima delegazione giapponese ha offerto un pantagruelico sushi party. Naturalmente a base di tonno rosso del Mediterraneo.
A bordo del peschereccio che mi ospita, le ore che separano la calata dal recupero della rete sembrano non passare mai. In coperta il Capitano è l’unico che riesca a dormire. Gli altri marinai restano di guardia, a controllare le luci all’orizzonte. I loro racconti – pescherecci colati a picco, equipaggio compreso – tengono più svegli del caffè. La lingua rossa della luna che sorge avvisa che è il momento di rimettersi all’opera. Ci vorranno 6 ore di duro lavoro per recuperare i 7 chilometri di rete lasciati alla deriva. Al principio dal mare arriva soltanto una miriade di piccole meduse rossastre, che tappezzano il pozzetto con corpi scivolosi e umori orticanti. La prima cattura si fa attendere mezz’ora, ma fa presagire una notte fortunata: una femmina di spada di oltre 130 chili. Siamo nella stagione della riproduzione, e la sfortunata doveva essere in compagnia di molti esemplari maschi, che potrebbero condividerne la sorte.
Il Capitano aveva ragione: l’impatto con la nave da crociera ha danneggiato soltanto qualche centinaio di metri sulla coda della rete. Alle prime luci del nuovo giorno, il pescato è così abbondante (alle pesa saranno più di 2 tonnellate) che muoversi a bordo è diventato difficile. Il numero di pesci spada che superano il quintale è pari a quello degli esemplari finiti nella rete appena nati. I tonni rossi sono una dozzina, ma soltanto una stretta minoranza ha le dimensioni che connotano la maturità sessuale (circa 1 metro di lunghezza e 18 chilogrammi di peso). Gli altri non hanno fatto in tempo a contribuire alla continuazione della propria specie.
I miei gentili ospiti sono pirati. Il metodo di pesca che utilizzano è illegale. Un’illegalità diffusa tra i loro colleghi e tollerata a livello politico, come dimostra la mancanza di controlli e indirizzo al settore. Lo strumento a bordo è la “ferrettara”, una rete derivante con una maglia di 18 centimetri. Per legge dovrebbe essere lunga al massimo 2 chilometri e mezzo (la nostra ne misura 7), e venire impiegata entro le 10 miglia di distanza dalla costa (peschiamo a 32 miglia da Ischia). Ma soprattutto chi ha la licenza per questo tipo di rete potrebbe pescare soltanto specie come palamita, lampuga, sgombro e alcune qualità minori di tonno (alalonga, allitterato). Una pesca che non sarebbe in grado di garantire alcun profitto a chi la praticasse nel rispetto delle regole. A spiegarmelo è il Capitano stesso, che sembra non aver nessun imbarazzo nei panni del pirata: “Se la popolazione di tonno rosso è al collasso non è certo per colpa di pescatori come noi. Il problema sono le tonnare volanti, che in un’unica battuta pescano 100 volte quello che noi riusciamo a tirar su in un’intera stagione.”
Le “tonnare volanti” sono imbarcazioni enormi, lunghe fino a 40 metri, che per pescare utilizzano le reti a circuizione. Questi pescherecci sono dotati dei più moderni strumenti tecnologici, come i sonar con cui individuano i banchi di tonno che poi circondano con le reti. Con una sola calata possono catturare anche 2mila tonnellate di pesce. Negli ultimi 10 anni, mentre il sushi diventava una moda globale, la Comunità europea ha puntato con decisione sullo sviluppo di quest’industria. Complessivamente Italia, Francia, Spagna, Croazia, Grecia e Malta hanno ricevuto circa 35milioni di euro, che sono stati impiegati per costruire imbarcazioni sempre più efficienti e attrezzare le cosiddette “fattorie del tonno”, grandi vasche marine dove i pesci sono lasciati a ingrassare fino all’autunno, quando arrivano gli intermediari giapponesi. Anche alcuni Paesi extracomunitari (Turchia, Libia, Algeria, Marocco e Tunisia) si sono organizzati per non perdere la ghiotta opportunità offerta dal mercato internazionale. Secondo il rapporto Wwf “Race for the last bluefin”, la flotta di tonnare volanti che insiste sul Mediterraneo ha una capacità di cattura complessiva pari a 55mila tonnellate, un valore doppio rispetto alla quota fissata dall’Iccat, la Commissione internazionale per la conservazione dei tonni dell’Atlantico e del Mediterraneo, e 4 volte più grande di quella raccomandata dalla comunità scientifica. Nelle fattorie del tonno c’è spazio a sufficienza per ospitare fino a 60mila tonnellate di pesce. In Italia, il potenziale di cattura della flotta è stimato pari a 7500 tonnellate, circa il doppio della quota pesca assegnata dall’Iccat. Negli ultimi anni lo sviluppo quantitativo e tecnologico delle tonnare volanti nostrane è stato continuo. Ma la cattura annuale più consistente dichiarata dall’Italia risale al 1997. Un dato che lascia pensare, ipotesi valida anche per altri Paesi, a una contabilità poco trasparente e a un valore del pescato effettivo superiore a quello consentito. “É un assurdo circolo vizioso – commenta Marco Costantini, responsabile della Campagna mare del Wwf Italia – Le nuove flotte sono talmente moderne e costose, che i pescatori sono costretti a pescare quantità illegali solo per sopravvivere e rientrare dei costi. É come se un intero segmento economico lavorasse con impegno alla propria estinzione.”
Quest’anno le tonnare volanti italiane sono rimaste a riposo forzato. Preso atto delle basse quote pesca assegnate dall’Iccat per il 2010, e con gli occhi della Comunità europea puntati addosso per l’elevato numero d’infrazioni compiute dai pescherecci italiani negli ultimi anni, il sottosegretario di Stato con delega alla pesca, Antonio Buonfiglio, ha decretato a febbraio il fermo retribuito per l’intera stagione. Sono stati stanziati 13 milioni di euro per i pescatori rimasti fermi, e altri 27 milioni di euro per indennizzare quelli disposti alla dismissione dei propri pescherecci. Delle 49 tonnare volanti italiane attive nel 2009, sarebbero circa 30 quelle che hanno già chiesto il finanziamento per l’arresto definitivo.
Per le altre flotte europee, all’opera anche quest’anno, la Commissione ha decretato la chiusura anticipata della stagione ufficiale di pesca, che normalmente va dalla metà di maggio a quella di giugno. Nonostante un inizio segnato da condizioni meteorologiche tali da impedire l’attività, alle marine comunitarie è bastata infatti una sola settimana per pescare la quota assegnata. “Una prova inconfutabile che tali mezzi non sono appropriati per la pesca al tonno rosso – spiega Sergi Tudela, responsabile della pesca per il Wwf Mediterraneo – Si tratta di imbarcazioni costosissime, costrette per assurdo a restare in porto 50 settimane all’anno. Non possono essere compatibili con una specie al collasso, che ha urgente bisogno di ripopolarsi. Se i proprietari di questi pescherecci riescono a ottenere dei profitti e soltanto grazie ai generosi sussidi che hanno ricevuto dalla Comunità europea.”
Quando facciamo finalmente ritorno verso terra, i pescatori con cui ho preso il mare non si scaldano le ossa al sole come me. È il momento di sventrare e pulire il pesce. Rapidamente il pozzetto si trasforma in una vasca di sangue, dove insieme alle budella degli esemplari più grandi nuotano le teste e le pinne dei baby spada. Trasformati in tronchi carnosi, irriconoscibili a uno sguardo fugace, verranno consegnati a qualche albergo o ristorante, senza passare per le pescherie dove darebbero troppo nell’occhio.
Mentre i marinai sventrano, il Capitano è impegnato invece in lunghe contrattazioni telefoniche. Quando entriamo in porto, nell’angolo più lontano del molo c’è un ragazzo che si sbraccia davanti a un furgoncino bianco. Ci fa segno di dirigerci verso di lui. Il furgoncino ha già le porte spalancate, e basta qualche minuto per trasbordare le 2 tonnellate di pescato. Una stretta di mano, niente soldi. Uno dei pescatori sale rapido sul mezzo, mentre il furgoncino cogli ammortizzatori rasoterra sgomma verso il luogo appartato dove avverrà la pesa e il pagamento. Nessuna divisa in vista, nessun controllo. Un bel tonno in omaggio al vecchietto che fuma silenzioso appoggiato a un parapetto. Altra stretta di mano. Lungo la strada di casa, le ultime consegne a domicilio ad alberghi e ristoranti di fiducia. Il peschereccio rimane in rada, con la sua montagna di rete illegale bella in vista nel pozzetto. Già nel pomeriggio riprenderà il mare.
Dall’Italia al Giappone
Il Giappone è il protagonista assoluto del mercato internazionale del tonno rosso. Il colore brillante e il sapore dolce fanno infatti di questa specie l’ingrediente d’eccellenza nelle preparazioni di sushi e sashimi. Quello pescato nel Mediterraneo finisce quasi completamente (intorno al 90%) sulle tavole nipponiche, dove in media vengono consumate 400mila tonnellate di tonno rosso all’anno. Per spazzar via ogni concorrenza gli intermediari giapponesi, primi fra tutti quelli della Mitsubishi, sono pronti a pagare il doppio del prezzo di mercato. Un’operazione che garantisce comunque lauti profitti, dato che all’asta di Tokio un tonno rosso può essere battuto a più di 500 dollari. Al chilo.
Sono solo scatolette
Se i giapponesi consumano il 90% del tonno rosso pescato nel Mediterraneo, la qualità che invece finisce sulle tavole italiane è rappresentata principalmente dal “pinna gialla” (Thunnus albacares). Questa specie, molto simile a quella del tonno rosso, viene pescata soprattutto nell’Oceano Indiano e nel Pacifico. Confezionata in scatolette di latta o vasetti di vetro, è la conserva ittica più venduta sul mercato mondiale. Un volume d’affari che si aggira intorno ai 20miliardi di euro all’anno.
L’Italia è tra i più importanti mercati europei, con un consumo annuo di oltre 140mila tonnellate di scatolette. La produzione si avvicina invece alle 100mila tonnellate, per un fatturato che supera i 500milioni di euro all’anno e ci colloca al secondo posto tra i produttori comunitari. “Rio mare” controlla oltre il 40% del mercato interno, di cui è leader indiscusso. L’azienda appartiene al gruppo Bolton, multinazionale olandese proprietaria anche dei marchi Palmera e Alco. E la Bolton fa capo a Joseph Nissim, un’ottantenne di origine greca, che dagli anni Cinquanta fa affari d’oro con la grande distribuzione in Italia. Personaggio di spicco della comunità ebraica milanese, lo raccontano come molto riservato. Le uniche eccezioni mondane sono per il suo amico Silvio Berlusconi, che sostiene fin dalla “scesa in campo” del 1994, sia pubblicamente che attraverso notevoli investimenti in pubblicità sulle reti del Biscione.
Seppure non nelle stesse condizioni del tonno rosso del Mediterraneo, anche il pinna gialla è una specie vicina al collasso. Lo dimostra uno studio finanziato quest’anno dallo European development fund sulla popolazione di tonno dell’Oceano Indiano. La responsabilità è riconducibile alla voracità di un mercato che non conosce soste, e a metodi di pesca scellerati. Per catturare i tonni vengono utilizzati i Feed aggregation device (Fad), degli oggetti galleggianti in grado di attirare i pesci. Una volta che i tonni sono raccolti nell’orbita del Fad, le tonnare li pescano con le reti a circuizione. Circa il 70% delle catture dichiarate di pinna gialla deriva dall’utilizzo dei Fad. Un metodo di pesca contraddistinto da un’elevatissima percentuale di catture accessorie: secondo il rapporto Greenpeace “Tonno in trappola”, ogni anno a causa dei Fad vengono ributtate in mare 100mila tonnellate di pesci morti. A peggiorare la situazione c’è la pesca pirata, che nell’Oceano Indiano e nel Pacifico rappresenta oltre il 30% delle catture di tonno.
Rio mare è tra i fondatori dell’International seafood sustainability foundation (Issf), “una fondazione senza fini di lucro che unisce i più autorevoli esponenti della comunità scientifica, le aziende leader dell’industria del tonno e il Wwf”. Sul suo sito internet, l’azienda sostiene di “non aver mai utilizzato tonno rosso per la sua attività” e di adottare “un sistema che permette di tracciare la storia del tonno dalla cattura alla tavola”. Secondo Greenpeace però Rio mare al momento non è in grado di offrire nessun prodotto sostenibile ai suoi consumatori, dato che il tonno commercializzato deriva dai metodi di pesca suddetti. Inoltre sulle scatolette, sia quelle a marchio Rio mare che quelle Alco e Palmera, non è riportata alcuna notizia circa la provenienza del tonno e il metodo di pesca utilizzato. L’unica informazione disponibile è il luogo d’inscatolamento, lo stabilimento di Cermenate vicino Como, che potrebbe lasciar pensare a un tonno pescato in Italia. Agli intervistatori del rapporto Greenpeace, Rio mare ha dichiarato di “volersi muovere per garantire la completa trasparenza rispetto all’origine dei propri prodotti”. Inoltre, attraverso l’Issf starebbe promuovendo “la prima ricerca globale per ridurre il by catch (le catture accessorie, ndr) nelle operazioni di pesca”.
Prua verso l’Africa
Che fine farà la flotta comunitaria di tonnare volanti? Come sta già accadendo in Italia, gran parte delle imbarcazioni verrà dismessa a spese dei contribuenti, gli stessi che ne hanno finanziato il potenziamento nell’ultimo decennio. Ma qualcuno dei proprietari potrebbe anche ritenere più conveniente conservare i suoi pescherecci ipertecnologici e spostarsi verso altre acque. Alla conferenza Cites di Doha, alcuni Paesi africani (Senegal, Mauritania, Guinea Bissau e Ghana) si sono rifiutati di votare per l’inserimento del tonno rosso tra le specie in via d’estinzione, perché temono che i pescherecci costretti ad abbandonare il Mediterraneo si riversino nelle loro acque costiere, dove la pesca pirata è già un fenomeno ampiamente diffuso tra le marine straniere.
Ma la pesca di frodo non è un problema solo africano. In Italia, soprattutto al Sud, il tasso di violazioni è altissimo. Ancora oggi esistono imbarcazioni che usano le “spadare”, un tipo di rete vietato a livello europeo già da 8 anni e la cui dismissione è stata indennizzata con milioni di euro. Ogni anno la Capitaneria di porto accerta migliaia di reati, ma ne riesce a sanzionare soltanto una piccola percentuale. Mancano fondi e mezzi per un contrasto tenace. Manca soprattutto una politica di settore, che smetta di produrre decreti e normative contraddittori, alternando fasi di tolleranza zero a lunghi cicli d’indulgenza.