La “nuova via della seta”, il piano globale da oltre 1000miliardi di dollari di investimenti in infrastrutture promosso dal governo cinese, passa anche attraverso l’Himalaya. Nel cuore della più antica riserva naturale nepalese, il parco nazionale del Langtang, capitali e imprese cinesi stanno infatti realizzando un’autostrada. Una volta completata, la Rasuwagadhi-Syaphrubesi sarà il principale collegamento via terra tra Cina e Nepal.
La regione del Langtang è tra quelle più colpite dalla serie di terremoti che ha devastato il Nepal nel 2015. Così, approfittando della ricostruzione, il governo cinese sta promuovendo una lunga serie di opere in quest’area. A Rasuwaghadi, il villaggio di confine con i territori tibetani occupati dalla Cina, nel 2016 è ripartito un controverso progetto idroelettrico. Ma soprattutto, tra gli accordi firmati nel 2018 a Pechino dal nuovo premiere nepalese Sharma Oli, spicca il progetto di estendere in Nepal la linea ferroviaria che dal 2014 collega Lhasa con Shigatse: un investimento di oltre 8miliardi di dollari, che dovrebbe consentire alla ferrovia di raggiungere Rasuwaghadi già il prossimo anno, per poi venire estesa attraverso una serie di gallerie e sopraelevate fino a Kathmandu e Lumbini (confine con l’India) entro il 2027.
Sulle montagne del Langtang, tra rarissimi esemplari di larice nepalese e rododendri di una dozzina di colori diversi, vive il leopardo delle nevi e oltre un quarto dei panda rossi del Nepal. La valle attraversata dal fiume Bhote Koshi è sempre stata una via di scambio: mandrie di yak scendevano dall’altopiano tibetano coi dorsi carichi di sale, che veniva barattato col riso e la farina prodotti nella grande pianura ai piedi dell’Himalaya. Ancora oggi nei villaggi della zona gran parte del trasporto merci è affidato agli animali, che si muovono su antichi sentieri ricavati lungo le pendici delle montagne. Quando nei primi anni Cinquanta la Cina ha dato il via all’invasione del Tibet, molti tibetani hanno usato questa valle per sfuggire all’occupazione della loro terra. Le montagne del Langtang e del Ganesh erano pressoché disabitate, così il governo nepalese non ha ostacolato il flusso migratorio, costituito soprattutto da profughi di etnia tamang.
Nel 1976 è stato istituito il parco, le cui regole impongono agli abitanti dell’area limiti molto rigidi rispetto all’utilizzo delle risorse naturali: il taglio della legna è severamente razionato, mentre agricoltura e pastorizia possono essere praticate soltanto su piccolissima scala. Anche gli escursionisti che si avventurano tra queste montagne devono rispettare vincoli precisi: l’uso della plastica è bandito e per non incoraggiare il taglio clandestino della legna occorre imparare a lavarsi con l’acqua fredda anche quando la temperatura scende sotto zero. Un rigore venuto però meno di fronte al capitale cinese.
Camminando lungo il corso del Bothe Koshi, tra la polvere di una serie infinita di cantieri a cielo aperto, l’alto impatto ambientale delle opere cinesi è già evidente. Le pendici delle montagne sono segnate da una continua serie di frane, mentre gran parte dei sentieri tradizionali sono divenuti così pericolosi che gli abitanti dei villaggi hanno smesso di utilizzarli. Per gli smottamenti continui causati dai lavori di scavo, alcune sorgenti d’acqua sono sparite, inghiottite dalla terra. Le piscine termali del villaggio di Timure sono invece sepolte tra i detriti di uno dei cantieri. Rasuwagadhi, un tempo attrazione turistica d’eccellenza per il suo storico forte in pietra – simbolo dell’epoca in cui il Grande Nepal era una potenza rispettata e temuta dai suoi vicini – oggi è una discarica di semilavorati e scarti di produzione del nuovo ufficio di frontiera cinese, un mastodontico edificio di 5 piani che ha rimpiazzato un minuscolo prefabbricato. Nei villaggi che sorgono lungo il fiume si può già assistere alla trasformazione degli abitanti: la televisione al posto delle chiacchiere intorno al fuoco, indifferenza o risentimento per lo straniero invece della tipica generosa curiosità, alcool cinese a basso costo in cui affogare la polvere del presente.
“Gli artigiani nepalesi conquisteranno il mercato cinese!”. Arrivato da Kathmandu per insegnare nella scuola del villaggio di Gatlang, Adripathi fa eco alla propaganda governativa. “La nuova autostrada è una grande opportunità di sviluppo per il Nepal. Soprattutto per gli abitanti di queste remote valli himalayane, dove il trasporto delle merci è ancora affidato alle schiene degli uomini o al dorso di qualche mulo. Se ti rompi una gamba in questa zona, ti devono trasportare all’ospedale più vicino come un sacco di patate. Per alcuni villaggi si tratta di giorni di cammino”.
Se l’opera favorirà senza dubbio la mobilità interna, la nuova via commerciale rischia però di schiacciare la fragile economia nepalese (il Pil pro capite nel 2018 è stato poco superiore ai 1000 dollari) sotto il peso imponente di quella cinese. Già oggi oltre il 90% del commercio che si muove attraverso il confine consiste in prodotti industriali e di consumo cinesi. Per averne conferma, basta girare tra le bancarelle di Shyaphrubesi, dove si possono comprare biscotti, cioccolata, bibite e saponi di grandi multinazionali straniere, ma non c’è alcuna traccia dei prodotti artigianali locali, come il formaggio di yak o i tessuti tradizionali tamang. Anche nelle locande dei villaggi montani ogni suppellettile è prodotta in Cina: approfittando di speciali passaporti di confine, che gli consentono di muoversi in un raggio di 30 chilometri dalla frontiera, molti abitanti locali si recano spesso oltreconfine per fare acquisti o per brevi periodi di lavoro.
Evitando le slavine alimentate dalle gru cinesi, abbandono il corso polveroso del Bhote Koshi per risalire i sentieri che collegano i villaggi pedemontani. Qualche ora di arrampicata e raggiungo Thuman. Gli abitanti sono impegnati nelle celebrazioni per la nascita di una nuova famiglia. Danzano in circolo nel punto in cui verrà presto costruita la nuova casa. A presidiare la cerimonia c’è Madhu, figlio dell’anziano sciamano locale. Mi dice che da qualche giorno suo padre è “all’alto tempio di Nagthali” e che se voglio raggiungerlo devo continuare a risalire la montagna. Il sentiero non è chiaro e così mi perdo in un fitto bosco di rododendri. Finalmente sbuco su un altopiano che lascia senza fiato, circondato dalle catene innevate del Langtang, del Ganesh, di Gosaikunda e del Kyirong tibetano. L’area è deserta, fatta eccezione per qualche vacca e un mandriano. L’uomo mi indica una struttura fatiscente, che si erge sulla collina più alta. All’interno, di fronte ad alcune statue di legno tra cui una rappresentazione del Buddha, lo sciamano medita seduto nella tradizionale posizione del loto. Quando esce non sembra sorpreso di vedermi e comincia il suo racconto senza che debba fare molte domande: “il governo nepalese sta compiendo grandi sforzi per assorbire gli abitanti di queste valli remote. Con la scusa di renderci beneficiari di programmi assistenziali o concederci diritto di voto, gli ufficiali governativi vengono nei villaggi a raccogliere le nostre generalità, impronte digitali comprese. Lo stesso sistema che permette ai cinesi di devastare questa valle, si preoccupa d’individuare eventuali focolai della dissidenza tibetana ed estinguerli per sempre”.
La comunità tibetana in Nepal è molto consistente. A Boudha, sobborgo di Kathmandu, ha un centro di un’importanza paragonabile soltanto a quello di Dharamsala in India, dove vive il Dalai Lama e ha sede il governo tibetano in esilio. Sull’Himalaya, al di sopra dei 3mila metri di quota, tamang, gurung e le altre etnie tibetane rappresentano la maggioranza della popolazione. Il governo cinese vuole assicurarsi che le aree in cui si sono stabiliti i profughi tibetani non si trasformino in basi di sostegno alla dissidenza indipendentista.
Da parte loro, i maoisti che governano il Nepal hanno sempre assicurato il massimo supporto ai cinesi. Anche l’apertura dei cantieri della Rasuwagadhi-Syaphrubesi è stata occasione per mostrare la propria fedeltà. “Nel costruire questo importante collegamento tra i nostri Paesi – ha dichiarato l’ex primo ministro nepalese Madha Kumar – la Cina ha una sola preoccupazione: la stabilità del Tibet. Il governo nepalese ritiene che il Tibet sia parte integrante della Cina e non permetterà che il proprio territorio venga utilizzato per destabilizzare la regione”. A chi gli ha chiesto cosa potesse comportare tale politica per il Langtang, Madha Kumar ha risposto che gli abitanti di queste valli non hanno nulla di cui preoccuparsi: “da quando la Cina ha occupato il Tibet, molti sostengono che i cinesi sono violenti e traditori. Ma quando ho visitato i territori oltreconfine mi sono fatto un’impressione diversa. Il governo cinese ha costruito ovunque strade e case, così che gli abitanti del Tibet potessero avere una vita migliore”.